domenica 8 dicembre 2013

“ESOTERISMO” SAVOIARDO



Stretta fra il Po e la Dora, Torino rappresenta come un crogiuolo dal quale sembrano essere scaturite in varie forme nel tempo le credenze che caratterizzarono la religiosità idolatrica di indole solare delle popolazioni arcaiche che stazionavano ed interagivano nell’Europa nordica e centrale.
La storia è antica. Si dice che dalle lande del nord, gli antichi Taurisci, portando con loro la mitologia legata al sacro monte di Thor, discesero fermandosi alla confluenza dove Dora e Po formano una ipsilon Y, simbolo che richiama il bivio, la scelta fra la destra rivolta verso il cielo e la sinistra rivolta verso gli inferi.
I monti e la pietra venivano posti in relazione al sole. Poiché la roccia esposta ai raggi del sole conserva ancora il suo calore quando l’astro scompare, si pensava che il potere del sole fosse effettivamente presente all’interno della roccia. Del resto, gli antichi popoli ricavavano il fuoco dallo sfregamento delle pietre, quasi a comprova che il potere del sole fosse presente nelle rocce e nei “betili”, intesi come abitazioni della divinità solare.
In riferimento alla mitologia greca, la leggenda della nascita di Torino riporta ai sacrifici dei tori che il primo re di Atene, Cecrope, immolava a Giove, il quale si era unito alla divina Jo, che Ovidio assimila ad Iside. L’Italia si chiamava allora Appenninia, in riferimento al dio Api. La prima città dopo le Alpi venne così dedicata al toro solare, dal quale derivò il nome: Torino. Peraltro, il culto verso la gran madre egizia Iside, sembra si svolgesse su di un ninfeo collinare prossimo al luogo ove oggi sorge la chiesa della Gran Madre.
D’altra parte, Emanuele Filiberto Pingone (1525-1582) che scrisse una documentata storia dei Savoia presentò nella sua opera Augusta Taurinorum la leggenda della fondazione di questa città, rifacendosi all’opera del frate domenicano Annio da Viterbo (1432-1502). Secondo questo religioso, tutto sarebbe iniziato 1529 anni prima di Cristo, quando il figlio di Iside, Fetonte o Eridiano, sbarcò sulle nostre sponde per fondare alcune colonie sul confine tra Liguria e Piemonte.
Fetonte sarebbe caduto nel Po durante una corsa su un carro, che la leggenda trasformò in carro solare. Ove cadde, venne eretto un cippo, poi trasformato in tempio dedicato al dio Sole, disposto verso oriente, intorno al quale si formò la prima città chiamata Euridania o Fetontia, poi Torino, il cui emblema è appunto il toro-bue-Api, simbolo del vitalismo universale che attraverso il seme feconda la materia terrestre.
Questo tempio racchiudeva cerimonie segrete, iniziatiche e magiche, dedicate allo spirito solare, il quale a sua volta ricambiava le offerte con protezione e potere sulle popolazioni a lui soggette. Proprio per salvaguardare l’inviolabilità dei segreti custoditi in questo tempo, i sacerdoti stessi lo avrebbero distrutto prima che venisse profanato dagli invasori, ultimi i Romani. Tuttavia, le antiche e sacre reliquie insieme ad una grande ruota d’oro, simbolo solare, sarebbero state celate in un luogo segreto.
Si parla di un tempio sotterraneo localizzato sotto la pianta di Torino, il cui ingresso e passaggi sarebbero ancora ben custoditi e sconosciuti ai profani. In questo mitreo, si sarebbero svolte le antiche cerimonie ed i rituali delle popolazioni arcaiche, le quali si radunavano periodicamente nella piana racchiusa tra la Dora e il Po per onorare il dio solare.
Quanto narrato dal Pingone troverebbe riscontri pur vaghi in una iscrizione posta su una statua dedicata ad Iside, ritrovata nel 1567, tra le rovine dall’antica cittadella. Questo ritrovamento sembra alludere ad un tempio dedicato alla stessa dea egizia, sul quale sarebbe stata eretta una chiesa dedicata a san Solutore Maggiore, distrutta poi durante l’occupazione francese della città (1536-1563).
La leggenda del tempio di Iside si rinnova nel tempo. L’azione spirituale di questa divinità sarebbe legata al culto segreto ad essa ancora rivolto da parte di oscure confraternite. Voci dicono che alcuni Savoia fossero attratti da questa dea, dalla religiosità e dai reperti egizi, riportando a questo interesse la costruzione dell’attuale museo egizio.
Thomas Paine (1737-1809) afferma che furono i sacerdoti druidi a “traghettare” i rituali segreti egizi all’interno della massoneria, preservandoli dalla “persecuzione” che i cristiani riservavano ai culti pagani. Una volta divenuto cittadino francese e membro della Convenzione, Paine scrisse sulla Natura – Iside – Osiride – Nave – Fuoco  identificando la religione degli egizi con quella della stirpe celtica che si fondò Parigi, ossia quella dei Parisii.
Il culto di Iside venne ripristinato quando questa divinità venne “intronizzata” , dallo stesso Napoleone, come patrona di Parigi in seguito alla rivoluzione francese, dal 1811 al 1814. La figura di Iside posta sulla prua della nave dell’imperatore come emblema della città di Parigi, venne ricavata dall’archeologo Louis Radel da quella della Mensa Isiaca appartenente al Museo Egizio di Torino. Questa raffigurazione ed il culto pubblico di Iside decadde tuttavia il 14 aprile 1814, quando il Governo provvisorio decretò la soppressione di tutti gli emblemi e simboli introdotti nell’era napoleonica.
I manufatti egizi presenti in Torino, tra i quali quelli relativi al culto di Iside ellenistica, sono dovuti come dicevamo all’interesse ed alla raccolta propiziata dai Savoia, e sembrano comprovare la leggendaria filiazione egizia di questa città. Forse questa credenza è alla base della singolare apertura che alcuni esponenti della casa Savoia adottarono nei riguardi della cultura magica ed iniziatica, nonché spiritistica.
Afferma Baima Bollone che “Vittorio Emanuele II, in sintonia con la fama di appartenere ad una famiglia compromessa con pratiche esoteriche, non contrasta il dilagante medianismo”, che si diffuse nella sua epoca (La scienza nel mondo degli spiriti, SEI, Torino 1994, p. 217 e sgg). Introvigne, nel suo libro Indagine sul satanismo, Milano 1994, conferma questo aspetto affermando che: “il governo piemontese in un periodo che va dal 1850 alla presa di Roma nel 1870, si era mostrato straordinariamente tollerante con gli spiritisti, i maghi e i gruppi religiosi o parareligiosi più singolari e bizzarri”.
Anche del figlio di Vittorio Emanuele II, Umberto e della futura regina Margherita, si dice fossero in contatto “con gli ambienti spiritici partenopei e partecipano a sedute medianiche come già avevano fatto alcuni appartenenti della casa dei Borboni, tra cui il Principe Luigi” (ib.).
In ogni caso, Torino segnò anche la nascita nel 1863 della “Società torinese di Studi Spiritici” che dall’anno successivo iniziò la pubblicazione della rivista “Annali dello spiritismo in Italia”. Ne fu animatore ed editore Enrico Dalmazzo, un tipografo convertitosi allo spiritismo, che chiamò alla direzione della rivista Vincenzo Scarpa, segretario di Cavour e del Principe di Carignano, decorato dallo stesso Re. Scarpa, sotto lo pseudonimo di Niceforo Filatete, rimase alla direzione della rivista dal 1865 fino al 1898. A tale società apparteneva anche Gaetano De Marchi, vice presidente della Camera dei Deputati. Presidente di questa associazione venne eletto addirittura lo “spirito guida” che trasmetteva durante le sedute medianiche comunicazioni dall’al di là.
Nella rivista della società spiritistica, vennero pubblicati articoli pseudoscientifici e divulgativi, nonché cronache di presunte apparizioni e interazione con gli spiriti. Apparvero i resoconti di pseudo “contatti” non solo con spiriti profani, come quello di Garibaldi, Cavour, Mazzini, ma anche quelli di san Francesco, sant’Agostino, san Luigi. Si dice che lo spirito di Cavour, che in vita protesse gli spiritisti, si manifestò come fantasma a Massimo D’Azeglio, costringendolo ad impegnativi esercizi.
Anche un altro padre fondatore dell’unità d’Italia, Giuseppe Mazzini, era un seguace dello spiritismo. In contatto con la Blavatskj e con John Yarker “Gran Jerofante” di Menphis e Misraim, rito massonico esoterico al quale apparteneva anche Giuseppe Garibaldi, Mazzini “interpretava lo spiritismo come elemento di riscontro della necessità di una serie di esistenze successive e di reincarnazioni. Riteneva possibili sia le infestazioni che l’ispirazione, forme classiche della medianità” (C. Gatto Trocchi, Storia esoterica d’Italia, Piemme, Casale Monferrato 2001, p. 30).
Forse in questa prospettiva, Mazzini  si sentiva obbligato “alla logica di un suo piano preciso che gli imponeva, per mantenere alta la tensione, e lo diceva anche, di dover spargere sangue sacrificale. Sangue a suo parere, indispensabile per nutrire e mantenere viva la fiamma dell’eversione che prima o poi avrebbe saputo dare i suoi frutti e condurre alla vittoria. Dunque, gli occorrevano martiri … e gli tornava d’obbligo continuare imperterrito a percorrere la sua strada, cercando sempre neofiti da convincere e da mandare al sacrificio” (D. Liguori, Quell’”amara” unità d’Italia, Sibylla Editrice, Roma 2010, p. 140-141).
Nel senso d’offerta sacrificale, possono essere interpretate molte guerre sollevate da Re tendenzialmente crudeli, spesso senza cercare mediazioni ragionevoli o soluzioni pacifiche. Ad esempio, quella voluta da Vittorio Emanuele III nel 1915-18. Di questo tragico evento, “la realtà che viene fuori ci racconta di quanto inutile e di facciata sia stata questa guerra poiché, solo oggi, è dato apprendere, da ultimi e inoppugnabili documenti ritrovati, che Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria, pur di evitare l’apertura di un fronte di guerra anche italiano, dichiarò, da subito, la sua disponibilità a cedere Trento e Trieste” (Ib. p. 11).