giovedì 11 luglio 2013

FRANCESCANESIMO E MASSONERIA






Tra i santi apprezzati dalla massoneria, oltre a S. Giovanni Battista e S. Giovanni Evangelista, festeggiati dalla liturgia cattolica in prossimità dei solstizi estivo ed invernale, segue san Francesco, il poverello di Assisi, il santo che arso dall’amore di Cristo ricevette le stimmate della Passione, la cui festa è celebrata il 4 ottobre. Illustri massoni affermano addirittura l’esistenza di una certa affinità nelle opere e nelle intenzioni di questo Santo con i principi e le finalità perseguite dalla variegata e sfuggente corporazione, fondata come è noto sui principi di libertà, uguaglianza, fraternità. Corporazione iniziatica che postula la formazione dell’individuo su linee laiche, estranee a quelle dogmatiche e gerarchiche proprie del cattolicesimo, utilizza giuramenti di segretezza e che si è posta su posizioni decisamente anticlericali, fin dal suo esordio ufficiale, nel 1717, a Londra. Con il passare del tempo, la massoneria ha tuttavia cambiato atteggiamento nei confronti della Chiesa Romana. Non più scontri diretti e polemiche controproducenti, ma ricerca di eventuali zone di contatto all’interno delle quali elaborare possibili interazioni. Una di queste riguarda il rapporto della Libera Muratoria con il Francescanesimo: «Ordine che non si limitò a predicare ma concretamente visse i principi della fratellanza, della solidarietà, della Libertà nella ricerca … e concretamente visse altresì l’esperienza, audace e storicamente mancata, della ordinazione non canonica dei laici, cioè di una “iniziazione” non filtrata dai poteri della Curia Romana»[1].

SAN FRANCESCO, PERFETTO MURATORE?
La stima che la Framassoneria nutre per il Santo d’Assisi si è riversata, come di riflesso, anche su Papa Francesco, al quale il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, in occasione della sua elezione al soglio Pontificio, ha rivolto un positivo augurio pubblicato sul sito ufficiale del GOI. Infatti, senza esimersi dall’indicare la via che il Santo Padre avrebbe dovuto seguire, per non deludere le aspettative delle maestranze massoniche, Gustavo Raffi auspicava che: «il pontificato di Francesco, il Papa che “viene dalla fine del mondo” possa segnare il ritorno della Chiesa-Parola rispetto alla Chiesa-istituzione, promuovendo un confronto aperto con il mondo contemporaneo, con credenti e non, secondo la primavera del Vaticano II».
Il G. M. Raffi dà per scontato che vi siano due chiese (istituzionale e carismatica) in opposizione tra loro all’interno della Chiesa Cattolica, la quale invece è sempre Una, Apostolica e Romana. Come se fosse possibile all’apostolo San Giovanni opporsi a San Pietro, determinando così la divisione e la rovina interna del Regno di Cristo, peraltro tanto auspicata dalle consorterie iniziatiche.
Sulla scia di questo equivoco di antica data, un’analisi «innovativa e progressista» della figura di S. Francesco, è stata sviluppata dalla Loggia dell’Antico Rito di Memphis e Misram (GOI), in due convegni svoltisi ad Assisi, nel 1986 e nel 1998, su «Francescanesimo e Libera Muratoria». In tale occasione il gran maestro di Loggia, Giancarlo Seri, nella seconda presentazione degli Atti, ha ribadito una sua opinione, forte e senza fondamento, riguardo al Santo di Assisi. Ossia, che: «Francesco, sia sul piano simbolico sia sul piano operativo, fu, indiscutibilmente, un vero e perfetto Libero Muratore (sic!)».
Quest’assurdità troverebbe ragione nel fatto che S. Francesco nel riedificare chiese abbandonate, avrebbe perseguito le stesse finalità, avrebbe utilizzato regole e strumenti operativi (squadra, compasso, ecc.) tipici dei maestri comacini, precursori dei Liberi Muratori. Secondo il Gran Maestro, infatti, S. Francesco: «poté conquistare le più sublimi vette dell'iniziazione e della reintegrazione spirituale nell'unità divina primigenia. Mai vi fu al mondo un più fulgido esempio di santità e perfezione laica»[2].
Per trovare improbabili punti di incontro tra il Poverello e l’istituzione massonica, il gran Maestro – tralasciando il fatto che Giovanni di Bernardone non fosse un laico, avendo emesso i tre voti religiosi, vivendo in comunità religiosa ed essendo diacono –, prosegue la sua esposizione analizzando in chiave esoterica il simbolo francescano del «Tau». 

NUMEROLOGIA
È nota infatti l'affezione di san Francesco per questa lettera, comune all'antica lingua ebraica ed a quella greca e che in ambito spirituale assume il significato di salvezza e salute dell'anima. Tommaso Celano nel «Trattato dei miracoli», del 1225, scrive che: «fra le tante lettere, gli era familiare la lettera Tau, con la quale firmava i biglietti e decorava le pareti delle celle ... con lo stesso sigillo san Francesco firmava le sue lettere, tutte le volte che per necessità o per spirito di carità, spediva qualche suo scritto»[3].
Anche san Bonaventura conferma che «Francesco venerava questo segno e gli era molto affezionato, lo raccomandava spesso nel parlare, con esso dava inizio alle sue azioni». Tali asserzioni sono comprovate in modo diretto dallo stesso Santo, il quale nella cosiddetta «Chartula di Francesco», conservata nel Sacro Convento di Assisi, impartisce la sua benedizione a frate Leone, per sollevarlo da una profonda crisi spirituale.
Il Santo scrisse la Chartula due anni prima della sua morte, dopo il ritiro sul sacro monte della Verna, sul quale si trattenne nel 1224, dalla festa dell'Assunzione a quella di S. Michele Arcangelo, ed in occasione del quale venne insignito delle «stimmate» da parte di un serafino con sei ali, «tanto luminose quanto infocate». Spiega S. Bonaventura che: «Il verace amore di Cristo aveva trasformato l’amante nell’immagine stessa dell’amato»[4].
Ebbene, il gran maestro di Loggia esperto di simbologia e di esoterismo ricama riflessioni di stampo iniziatico circa questa "dedica", prendendo spunto dal fatto che, il Tau segnato da S. Francesco, sembra fuoriuscire dalla bocca di un viso d'uomo stilizzato. Questo segno attraversa poi il nome di frate Leone dividendolo in due parti. La prima con la parola frate più due lettere del nome Leone, cioè «frateLe». la seconda a destra contiene le rimanenti tre lettere «one».
Dal punto di vista numerologico, rileva il G. M., la parola “frate” contiene 5 lettere. La parte del nome “Le”, 2. In tutto 7 lettere. Invece le ultime lettere del nome “one" sono 3. Sommando tutti questi valori si ottiene il 10.
Nell'arte regia, che secondo Giancarlo Seri il Poverello avrebbe conosciuto ed applicato, questi numeri trovano i seguenti significati: il 5 rappresenta il pentalfa o stella fiammeggiante. Il 2 la binarietà del mondo visibile. Il 7 la realizzazione della cosiddetta grande opera. Il 10 l'irreversibile "salto nell'abisso" dell'adepto che ha conseguito la «grande opera». Inoltre, il segno di separazione in due parti del nome, significa esotericamente la separazione fra il denso e il sottile, l'ordine dal caos, il bianco dal nero. Senza questa fase non sarebbe possibile avviare alcuna trasmutazione spirituale iniziatica[5].

TRECENTO CUBITI DI ALTEZZA
A questo punto, ci permettiamo di osservare che S. Francesco d’Assisi, del tutto rapito dall’amore in Cristo, avrà certamente sperimentato che «lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio» (1 Cor 2, 10). Pertanto, la sua conoscenza derivava dalla scienza infusa dall’alto grado di grazia perseguita, non certo da discutibili e sotterranee nozioni esoteriche scovate chissà dove. Il Poverello, attento scrutatore e conoscitore della Parola di Dio, non poteva ignorare il valore soteriologico che la Bibbia ascrive alla lettera «Tau».
È il profeta Ezechiele ad attestare, dopo aver visto l’abominio nel Tempio, che «circa venticinque uomini, con le spalle voltate al tempio e la faccia a oriente che, prostrati, adoravano il sole» (Ez 8, 16), il Signore disse: «Passa in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme e segna con un tau sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono per tutti gli abomini che vi si compiono» (9, 4). Questo brano biblico segnerà la tradizione, consentendo il passaggio dal Tau-croce al 300-croce, poiché Tau=300.
San Girolamo (+420) affermava che presso gli antichi ebrei, Tau, ultima lettera dell’alfabeto, ha la forma di quel segno di croce che i cristiani tracciano sulla loro fronte ed utilizzano come firma manuale. Questo segno veniva interpretato anche come conclusione e compimento della Parola rivelata.
Origene riteneva che l’antico modo di scrivere il Tau accentuava la sua forma di croce e che una profezia risiedeva in questo segno, il quale sarebbe stato perciò impresso dopo sulla fronte dei cristiani. “Portare la propria croce” secondo le indicazioni di Gesù, veniva così interpretato anche letteralmente, come il portare esternamente il carattere interno della Croce[6].
Come dicevamo, dal punto di vista numerologico, il Tau viene posto in corrispondenza con il numero 300, ed è inteso come segno di salvezza. Questo numero infatti compare già nella Genesi (6, 14-15), quando Dio disse a Noè: «Fatti un’arca di legno di cipresso … Ecco come devi farla: l’arca avrà trecento cubiti di lunghezza».
Origene spiega ancora che l’arca raffigura la croce redentrice, poiché 300 corrisponde alla lettera Tau, all’albero della nave col suo pennone, alla croce (Homelia in Genesin 2, 5). Questa corrispondenza era celebrata liturgicamente nell’Analecta Hymnica, ove è contenuto l’antico inno cantato anche da S. Francesco: «Ligno crucis fabricatur / Arca Noe qua salvatur / Mundus a miseria» (Con il legno della croce venne fabbricata l’arca di Noè che salvò il mondo dalla miseria).

INTRANSIGENZA FRANCESCANA
Al di là di queste brevi osservazioni, ci sembra giusto sottolineare che San Francesco, essendo una persona carismatica, come tutti i fondatori ha vissuto il rapporto carisma-istituzione non senza problemi e fraintendimenti. Ma come tutti i santi fondatori si è indirizzato lungo la linea ecclesiale indicata da San Paolo, il quale esorta i Corinzi ad amministrare i doni dello Spirito Santo per l’edificazione della Chiesa, senza lasciar spazio a nessuna autonomia. San Giovanni si ferma davanti al sepolcro vuoto, per fare entrare per primo Pietro, il capo degli Apostoli.
È comunque certo che il Santo serafico, che ripristinò la stretta osservanza religiosa, che si spogliò di tutto per amore di Cristo crocifisso, che indicò la via della penitenza per conseguire la vera pace, esercita ancora oggi un grande fascino su credenti e non credenti. Sono quindi comprensibili i tentativi di interpretazione ed “affiliazione” della sua figura che si sollevano anche da parti estranee alla sua cultura, alla sua religiosità. È però anche probabile che egli si sarebbe svincolato da molti di questi. Egli infatti era intransigente circa l’osservanza e la totale sottomissione alla Curia Romana. Egli non puntò il dito sulla corruzione esistente nel Clero, ma cercò di ripararla innanzitutto nella sua persona, attraverso la via della penitenza e della continua conversione a Cristo.
Nella Lettera al Capitolo generale e a tutti i frati, ad esempio, egli dichiara di non volere ritenere come cattolici coloro che non dicono l’ufficio divino o vogliono mutarlo, e perciò rifiuta anche di vederli e di parlare con loro[7]; così pure di quelli che vanno vagando incuranti della disciplina della Regola. E nel suo Testamento ribadisce e chiarisce ancora questa sua netta disposizione[8].
Il “grande Santo” quindi non si sarebbe affatto sentito «in stretta comunione spirituale con molti di coloro che praticano la Libera Muratoria Universale», come invece sostiene il G. M. Giancarlo Seri. Francesco infatti non aveva «come suo unico bagaglio, una sacca contenente gli strumenti dell’Arte Regia: la squadra, il compasso, la cazzuola, il filo a piombo, il mazzuolo, la riga e lo scalpello»[9], ma semplicemente il Vangelo e Cristo crocifisso nel suo corpo.

RESTAURAZIONE DELLA ROMANITÀ
Quando restaurò con le proprie mani la Chiesa di S. Damiano, fra il 1206 ed il 1208, se anche utilizzò per necessità strumenti tipici dei muratori, lo fece con tutt’altro scopo da quello perseguito dai Liberi Muratori. Egli non si atteggiò mai a capomastro o a direttore dei lavori materiali o spirituali, ma si considerò sino alla fine un «uomo inutile e indegna creatura del Signore Iddio»[10].
Alla misteriosa voce che gli disse: «“Francesco, va, ripara la mia casa, che, come vedi, va tutta in rovina” … dapprima rimase atterrito; poi, colmo di gioia e ammirazione, prontamente si alzò, e si impegnò totalmente a compiere l’incarico di riparare l’edificio esterno della chiesa: ma l’intenzione principale della Voce era diretta alla Chiesa, che Cristo acquistò con lo scambio prezioso del suo sangue, come lo Spirito Santo gli avrebbe insegnato ed egli stesso in seguito avrebbe raccontato ai suoi intimi»[11].
La missione e l’intenzione che i veri seguaci di San Francesco perseguono è quella di mantenere viva la sua opera di pacificazione e restaurazione della Romanità, dai sempre altrettanto vivi tentativi di corruzione provenienti dall’interno e dall’esterno, proprio ad opera delle consorterie iniziatiche che tanto bramano di instaurare un dialogo con la Chiesa di Roma. Per realizzare questa missione ecclesiale, non occorrono strumenti particolari o segreti simbolismi, ma la grazia che santifica la vita quotidiana e lega sempre più l’anima a Cristo povero e sofferente. Proprio questa pacificazione dell’anima è espressa come sintesi e lascito della dottrina spirituale di Francesco d’Assisi al termine della sua Lettera al Capitolo generale e a tutti i frati, che riportiamo in conclusione. Se i Liberi Muratori, non essendo più tali, potessero davvero condividere pienamente questa lode al Dio Trinitario, senza fini occulti ed interpretazioni raffinate ed originali ordinate ad improbabili accezioni esoteriche del pensiero e dell’opera del Poverello, allora forse sarebbe possibile un costruttivo confronto con essi, sempre in vista della comune, totale conversione e sottomissione di ogni persona, istituzione e dell’intero mondo al Signore Gesù Cristo:
«Onnipotente, eterno, giusto e misericordioso Iddio, concedi a noi miseri di fare, per la forza del tuo amore, ciò che sappiamo che tu vuoi, e di volere sempre ciò che a te piace, affinché, interiormente purificati, interiormente illuminati e accesi dal fuoco dello Spirito Santo, possiamo seguire le orme del tuo Figlio diletto, il Signore nostro Gesù Cristo, e, con l’aiuto della tua sola grazia, giungere a te, o Altissimo, che nella Trinità perfetta e nella Unità semplice vivi e regni glorioso, Dio onnipotente per tutti i secoli dei secoli. Amen»[12].




[1] A. A. Mola, I Francescani in Massoneria e per la Massoneria, in, a cura di G. Seri, Francescanesimo e Libera Muratoria, Arktos, Carmagnola 1998, p.76.
[2] Ibid. p. 7.
[3] In Fonti Francescane, Ed. Messaggero Padova, 1990, Sez. Seconda, Cap. II, 827, p. 740.
[4] Ivi, Leggenda maggiore di S. Bonaventura di Bagnoregio, n. 1228, p. 948.
[5] G. Seri, a cura di, Francescanesimo e Libera Muratoria, cit., pp. 9-12.
[6] Cfr. D. Vorreux, Tau simbolo francescano, EMP, Padova 1994.

[7] «Quei frati poi che non vorranno osservare fedelmente queste cose, non li ritengo cattolici, né miei frati: io non li voglio vedere, non ci voglio parlare finché non abbiano fatto penitenza», F. F., cit., VI, 229, p. 166.
[8] «E se si trovassero dei frati che non recitano l’Ufficio secondo la Regola o volessero comunque variarlo, o non fossero cattolici, tutti i frati, ovunque sono, siano tenuti per obbedienza, appena trovato uno di essi, a consegnarlo al custode più vicino al luogo dove l’avessero trovato. E il custode sia tenuto fermamente per obbedienza, a custodirlo severamente come un uomo in prigione, giorno e notte, così che non possa essergli tolto di mano, finché personalmente lo consegni nelle mani del suo ministro», F. F., cit., 126, p. 133.
[9] G. Seri, cit., pp. 94 e 14.
[10] F. F., cit., VI, 229, p. 166.
[11] F. F., cit., L. V, 1334, p. 1022.
[12] F. F., cit.,  VI, 229, p. 167.