domenica 3 marzo 2013

"UN ENORME PUNTO DI SVOLTA"




Avvicinandosi con i suoi discepoli a Gerusalemme, per celebrare l’ultima Pasqua del tempo antico e la prima del tempo nuovo, Gesù profetizzò l’abominio della desolazione sedersi nel “luogo santo” (Mt 24, 15) e la caduta del Tempio, come simboli premonitori della fine del mondo. Risuonavano in quei passi, nella campagna rinascente, parole incredibili a credersi: «Dio manderà i suoi angeli con una grande tromba e raduneranno tutti i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all’altro dei cieli» (Mt 24, 31).
I discepoli sapevano benissimo che Gesù non parlava a vuoto, tanto per dire qualcosa durante il viaggio. Ma tutto quanto diceva avveniva, in quanto parola di Dio. Eppure doveva sembrare impossibile che quel mondo che si presentava davanti ai loro occhi in tutta la sua bellezza, in quella giornata di primavera, sarebbe stato sconvolto e distrutto, Tempio compreso.
Nel maestoso Tempio che svettava su Gerusalemme, ricostruito da Erode nel 37-34, era contenuto l’inviolabile tabernacolo, il Sancta Sanctorum, nel quale era presente la Shekinah, la presenza reale del Dio vivente. In quel luogo santo per eccellenza, «entra solo il Sommo Sacerdote, una volta all’anno, e non senza sangue (non sine sanguine), che egli offre per i peccati di ignoranza suoi e del popolo», scrive san Paolo agli Ebrei (Eb 9, 7).
La distruzione del Tempio materiale avvenne puntualmente per opera delle truppe di Tito, nel 70 d. C. Sulle macerie di quel luogo, i Romani issarono una figura dell’abominio della desolazione, la statua dell’idolo Giove Capitolino. Il quale, scrive Macrobio (Saturnalia 1, 17-23), come tutti gli dei del paganesimo era espressione, sotto nomi di diversi di un’unica divinità, il Sole. Macrobio fornisce una lista significativa, peraltro non esaustiva perché priva di Mitra, di divinità correlate al Sole: Apollo, Liber Pater, Marte, Mercurio (Hermes), Esculapio, Ercole, Serapide, Adone, Osiride, Horus, Pan (Inuus), Saturno, Giove, l’Adad degli assiri.
L’evangelista Matteo lascia intendere che fine di Gerusalemme costituisce la punizione divina per il rifiuto di Gesù e degli apostoli da parte degli Ebrei (Mt 23, 36-38). Giuseppe Flavio, che dedicò alla conquista e distruzione del Tempio da parte dei Romani l’opera De Bello Judaico, confermò tale indicazione: «A mio avviso, Dio si allontanò dalla nostra città e giudicando che il Tempio non era più una residenza pura, incitò contro di noi i Romani e lanciò sulla città la fiamma purificatrice, infliggendo la servitù ai suoi abitanti, alle loro donne ed ai loro bambini, per renderci più saggi attraverso queste calamità».
La storia sacra insegna che ogni qualvolta gli Israeliti si allontanavano da Dio subivano sistematicamente sconfitte, invasioni, deportazioni. Questo si è ripetuto dai tempi di Noè, fino ai nostri giorni. La fede in Dio è infatti garanzia di protezione, sviluppo, benessere individuale e collettivo. Ma se la fede vacilla, le mura crollano, il livello delle acque si innalza, l’anomia corrompe l’ordine interno che discende dall'Onnipotente. Il tempio va in rovina, perché Dio si ritira e lo abbandona alle sorti del mondo.
Quando Cristo venne accusato di scacciare i demoni in nome di Beelzebul, principe dei demoni, anch’esso espressione pagana della divinità solare, rispose che un regno diviso in se stesso cade in desolazione: «Omne regnum divisus contra se desolatur, et omins civitas vel domus divisa contra se non stabit» (Mt 12, 25). Ben sapeva infatti Gesù che la tattica del maligno per dominare sugli uomini è proprio quella del divide et impera, scindere l’unità, raccolta dall’Amore, in parti che, se unite, lo sconfiggerebbero rapidamente.
Con questa stessa logica, il fumus satanae è penetrato nella Chiesa, producendo in essa una manifesta divisione, a partire dal Vaticano II. Il Concilio che segnò un punto di svolta epocale all’interno del corpo ecclesiale. Lo stesso Ratzinger lo dichiarò in un ciclo di conferenze radiofoniche nel 1969: «Siamo a un enorme punto di svolta nell’evoluzione del genere umano. Un momento rispetto al quale il passaggio dal Medioevo ai tempi moderni sembra quasi insignificante …la Chiesa non sarà più in grado di abitare gli edifici che ha costruito in tempi di prosperità. Con il diminuire dei suoi fedeli perderà anche gran parte dei privilegi sociali» (http://www.segnideitempi.org/la-profezia-dimenticata-di-ratzinger-sul-futuro-della-chiesa/chiesa/la-profezia-dimenticata-di-ratzinger-sul-futuro-della-chiesa/).
Dopo il 1960, all’interno del corpo mistico di Cristo, si sono consolidate due tendenze assai difficilmente conciliabili, alle quali corrispondono due gruppi opposti di fedeli, quelli legati alla Tradizione ed i sostenitori della modernizzazione ecclesiale. Nel frattempo, la Chiesa ha perso credibilità, prima ancora che privilegi. La società riflette questa crisi di fede religiosa nel segno della corruzione, violenza, confusione registrate nelle cronache quotidiane. Ed «a causa del dilagare dell’iniquità», l’amore di molti si sta raffreddando (Mt 24, 12).
Per tale ragione, forse, il Santo Padre ha sconvolto una prassi millenaria, rassegnando irrevocabili dimissioni dal soglio pontificio, divenendo così il primo Papa emerito. Questo suo gesto è interpretabile come un “divorzio” (consensuale) dall’eletta Sposa, che è una sola cosa con Cristo. Divorzio segnato dalle stesse raccomandazioni sussurrate ai figli da genitori che dolorosamente si separano e si preoccupano di rassicurarli che comunque continueranno ad amarli e ad operare meglio per loro.
Analogamente, il Papa, “divorziato” dal suo ruolo, ha cercato di rassicurare i fedeli promettendo (se ce ne fosse bisogno) che continuerà a pregare per la Chiesa. Lo farà persino meglio, finalmente libero di concentrarsi nei suoi diletti studi, nel proficuo ora et labora che ha segnato e segna la vita di santi monaci ed eremiti.
Un Pontefice che a differenza dei suoi illustri Predecessori, altrettanto travagliati e perseguitati, spesso martirizzati, abbandona il mandato divino, segna davvero un “enorme punto dio svolta” non privo di risvolti escatologici. Difatti, questo gesto del tutto inconsueto e “moderno”, annunciato nell’anno della Fede proprio dal Papa che lo ha indetto, deve gradevolmente risuonare nei fondi dei pestilenziali abissi, ove è relegato «colui che seduce tutta la terra» (Ap 12, 9), il fatidico mysterium iniquitatis.
Spiegava l’Apostolo alla comunità dei Tessalonicesi che il mysterium iniquitatis era già in atto. Tuttavia, la sua piena manifestazione sarebbe avvenuta solo in seguito alla caduta del katecon, l’ostacolo che lo trattiene (tantum qui tenet). Prima di questo, dovrà avvenire l’apostasia. Ossia, la rottura, l’abbandono: nisi venerit discessio primum (2 Tess 2, 7). La parola “apostasia” è tradotta in latino con il termine discessio, che significa allontanamento, separazione, divorzio.
Per San Tommaso, ciò che trattiene l’anticristo, e che costituisce come una barriera di fronte al male, è l’unione e la sottomissione alla Chiesa Romana, sede e centro della fede cattolica e apostolica. Fino a quando la società rimarrà sottomessa all’impero spirituale romano, trasformazione dell’antico impero temporale, l’anticristo non potrà comparire: «Qui tenet, scilicet, romanum imperium, teneat illud donec ipsum fiat de medio. Quia medium est dum universiscircumquaque imperat, quibus ab ipso recedentibus, de medio anferetur, et tunc ille iniquus opportuno sibi tempore revelabitur»  (S. Thomas, Opusc. LXVIII, De Antichrist.).
Il Vicario di Cristo in terra, con le sue schiere di sacerdoti, religiosi, consacrati, christifideles ha tenuto saldamente nei secoli la “grande catena”, catenam magnam, (Ap 20) che trattiene l’anticristo. Il quale, fino a quando il Custode dell’ortodossia e della Tradizione Apostolica sarà ascoltato ed obbedito dalle sue milizie, non potrà fuoriuscire dagli abissi che lo contengono. Al contrario, il disordine fra le schiere dei religiosi, la disunione della base con il Vertice, la lotta interna delle fazioni segnerà l’allentamento della presa, l’apertura dell’abisso, la liberazione (in ogni caso transitoria) del maligno: solvetur satanas de carcere suo (Ap 20, 7).
Il sole divino, la luce vera che illumina ogni uomo (Gv 1, 9), oscurata nel cuore di molti fedeli emancipati ed adulti, inconsapevoli della loro presunzione. La Chiesa tradizionale, gerarchica e militante, eclissata e surclassata da quella moderna, democraticamente aperta verso un mondo che di principio la rifiuta. L’antica Liturgia stravolta e combattuta da quella imposta dal Vaticano II. Gerarchie ecclesiastiche implicate in scandali mondani, cadute sotto i colpi di coda del “drago rosso”, cauda eius trahit tertiam partem stellarum cieli et misit eas in terra (Ap 12, 4). Un Papa, come una nuova “star mediatica”, accerchiato da moltitudini di credenti a “modo loro” gestiti da giornali laicisti, incalzato da lupi più avvezzi ad usare la lingua che i denti, che abbandona il suo divino mandato.
Tutte queste rovine, nonché il “piccolo gregge” rimastogli fedele ed obbediente nei tempi più oscuri, vedeva il Signore in quel radioso giorno di primavera, avvicinandosi con i discepoli a Gerusalemme per offrire la sua vita al Padre. Segnando con il suo divino sacrificio la perfetta unità fra Dio e la Chiesa Romana: la Roccia contro la quale «portae inferi non prevalebunt» (Mt 16, 18).