venerdì 9 novembre 2012

IL "DOLORE" DI NEWTON





Gli scienziati, in genere così immersi nello studio di questa dimensione, spesso tralasciano di occuparsi e credere nell’altra. Che tuttavia si manifesterà in modo tangibile anche a loro, trovandoli forse impreparati ad accoglierla.

Sembra che questa evenienza accadde proprio ad Isaac Newton, nel momento in cui stavano per aprirsi le porte del Regno soprannaturale. Pare infatti che il grande scienziato provasse una sorte di terrore irrefrenabile di fronte all’avvicinarsi di “sora morte corporale”.

Riferisce in proposito W. Rankin che negli ultimi momenti di vita: «Il dolore di Newton salì a tale livello che, con meraviglia dei presenti, il letto sotto di lui e la stanza stessa furono scossi dai suoi spasimi; tale fu la lotta che la sua grande anima sostenne nel lasciare il suo involucro terreno», («Newton – Per cominciare», Feltrinelli, Milano 1996, p. 162).

Questa testimonianza, se vera, corrisponde a quanto riferì in proposito san Giovanni Crisostomo: «Accade che molti moribondi siano uditi raccontare orrori e spaventose visioni la cui vista è loro insopportabile, spesso scuotono il letto con violenza e fissano con paura gli astanti, mentre l’anima si rintana nel corpo dal quale si rifiuta di essere strappata, incapace di sopportare la vista degli angeli che si fanno incontro. Se siamo terrorizzati quando vediamo un uomo dall’aspetto spaventoso, che cosa non soffriremo quando vedremo tra i nostri visitatori angeli in atteggiamento minaccioso e potenze dall’aspetto severo, mentre l’anima verrà strappata dal corpo e trascinata via emettendo alti e vani lamenti?» (Omelia 53 su san Matteo).

Il terrore della morte accomuna un po’ tutti i comuni mortali. Tranne i santi, i quali muoiono beatamente ricevendo già un assaggio della ricompensa per l’attaccamento alla fede dimostrato in vita. Persino sotto le più orribili torture i santi dimostrano una serena felicità attendendo con crescente gioia il momento del definitivo trapasso. La loro anima gode infatti della presenza spirituale di Gesù e di Maria specialmente nel momento cruciale del trapasso. Prima cioè di venire accolta dagli angeli e portata direttamente dinnanzi al trono di quel Dio nel quale hanno creduto e pur senza vederlo sensibilmente hanno servito e testimoniato con amorevole dedizione.

È nota peraltro l’avversione di Newton verso le forme del cattolicesimo tradizionale. Molti scrivono che egli fosse uno scienziato credente in Dio. Ma non certo nel Dio cristiano. La sua professione di fede era ariana e panteista. Non credeva nella divinità di Cristo. Nel 1669, rifiutò di emettere i voti religiosi necessari per cominciare la carriera accademica, che intraprese lo stesso grazie ad una dispensa personale del Re Carlo II.

Ritenendo infatti che un momento cruciale della corruzione di una presunta religione vera ed originale, rivelata direttamente da Dio a Noè, fosse il Concilio di Nicea, del IV secolo, scrisse tra l’altro in una delle sue pagine esegetiche che «Nulla, tranne la Chiesa di Dio, può essere una cortigiana e commettere adulterio» (I. Newton, Trattato sull’Apocalisse, Boringhieri, Torino 1994, p. 221).

Egli alludeva così implicitamente all’esistenza di una chiesa “pura”, non corrispondente a quella cristiana, alla quale egli forse apparteneva e per la quale militava. Sempre secondo Rankin (cit. p. 116), Newton riteneva infatti che la vera religione fosse quella di indole solare praticata delle vestali.

Nel tempio di Vesta costruito a immagine del sistema solare si adorava il dio della natura, rappresentato da un fuoco centrale perennemente acceso e circondato da sette lampade, così come il sole è circondato da sette pianeti. Egli dunque appoggiò e sviluppò l’eliocentrismo perché era il simbolo della sua fede naturalistica prima ancora che un elemento di ragione.

Di conseguenza, come molti illustri personaggi che popolarono il settecento inglese ingrossando le fila della nascente massoneria che riportava all’interno della società le antiche tradizioni egizie e druidiche, egli associava la Chiesa Cattolica alla “bestia” dell’Apocalisse e riteneva che il Papa impersonasse l’anticristo.

Coerente con queste posizioni, in uno degli ultimi momenti di lucidità, Newton dichiarò alla nipote la sua volontà di non ricevere i sacramenti degli agonizzanti e la benedizione “in articulo mortis”, affrontando così in totale solitudine e tormento spirituale l’ingresso in quello spazio ed in quel tempo assoluti che egli aveva allontanato dalla realtà e svuotato di contenuti spirituali, idealizzandoli matematicamente come ipotesi astratte.

L’illustre anima in quel travagliato momento forse vide risalire nella propria coscienza le ventotto anime di quelle persone che mandò alla forca, adempiendo fin troppo zelantemente l’incarico di direttore della Zecca Reale. Tra le quali una sorta di scomodo rivale esperto in coniatura, William Chaloner, condannato a morte, perché sembra avesse osato accusare lo stesso Newton ed altri alti dirigenti delle contraffazioni e dei crimini contro il conio di cui egli veniva incolpato.

Può tuttavia anche darsi che lo scienziato si ritrovasse di fronte alla personificazione di quello “spirito sottile” con il quale per lunghi anni aveva interagito più o meno inconsapevolmente manipolando gli elementi alchemici. Gli alchimisti infatti trattando la materia attraverso fusioni, condensazioni e distillazioni successive credono di influire su uno “spirito eterico”, una sorta di “super energia”, a loro avviso presente anche nei metalli più solidi e da questi “estraibile”. In questo senso, come ha affermato Mircea Eliade (cfr. «Cosmologia ed alchimia babilonesi», Sansoni 1992), l’alchimia non consiste in una scienza empirica, né in pre-chimica, ma in una tecnica mistica, di carattere pseudo soteriologico.

Siffatti interessi extra scientifici assorbirono in modo considerevole la vita di Newton nel delicato momento storico che segnava il passaggio da un secolo all’altro, dall’era cristiana a quella massonica, dal cosmo armonico all’universo amorfo, dalle distinzioni logiche alle simpatie e corrispondenze universali.

Questo aspetto, come abbiamo più volte riferito, costituisce una sorta di tabù della vita di Newton. È infatti poco conveniente ammettere che un personaggio al quale si deve la strutturazione della scienza moderna, responsabile anche di gran parte della nostra forma mentis, chiusi i quaderni scientifici, aprisse quelli relativi alle scienze occulte, riempiendoli di quasi un milione di parole, che scandalizzarono quanti ne presero visione. E che difatti sono ancora tenute sotto chiave, in parte a Cambridge, in parte a Gerusalemme.

In questi quaderni, forse, si trova scritto qualcosa in più su quell’energia universale, lo “spirito sottilissimo” tanto caro a Newton ed agli alchimisti di tutti i tempi ai quali, come riporta P. Arnold nel classico testo «Storia dei rosacroce» (Bompiani, 1994, p. 76), si deve la nascita della scienza moderna. Questa “entità energetica” viene ricondotta dalla teosofa Blavatsky, nel libro «Dottrina segreta», ad un “personaggio” tristemente noto: «Satana (o Lucifero) [il quale] rappresenta l’Energia attiva dell’Universo … Egli è il fuoco, la Luce, la Vita … Satana è il Dio, il solo Dio del nostro pianeta» (p. 400).

 Questa “energia universale” tanto ricercata dagli alchimisti rinascimentali sembra essersi come materializzata al giorno d’oggi, al punto da sostituirsi a Dio. La dimensione tecnologica ha infatti costruito come un paradiso in terra nel quale, ogni esigenza o aspettativa concreta sembra trovare risposta, eliminando ogni rimando all’altra dimensione.

Oggi tutto dipende dall’energia sfruttabile, la quale mette in moto la nostra vita quotidiana e dalla quale tutti dipendiamo. Senza questa energia, sorta di “motore immobile” moderno, tutti noi saremmo persi, immersi in un buio naturale, in un’immobilità, in un isolamento ai quali non siamo più abituati ed ai quali difficilmente ci abitueremmo. Quest’energia alimenta la nostra vita e senza di essa tutto si fermerebbe riportandoci indietro di centinaia di anni.

Eppure proprio in questa condizione di restrizione e difficoltà estrema, ognuno avrebbe forse modo di riprendere quel contatto con il proprio sé, trascurato ed occultato dalle gratificazioni della tecnica e dalle manipolazioni psicologiche di massa che attraverso essa sono messe in atto, anche attraverso l’ideologia che si maschera dietro le più importanti teorie scientifiche diligentemente apprese durante gli anni di formazione scolastica.

La scienza dell’immanenza infatti attraverso i suoi rigidi protocolli non fa che innalzare impervie barricate contro la dimensione insensibile, allontanandola sempre più dall’indagine della ragione. Così, le nostre menti, costrette nelle gabbie dell’immanenza, distratte dalle gratificazioni della tecnica, dalle polemiche della politica e dai drammi della cronaca, non riescono a cogliere la consistenza della realtà ultraterrena. Realtà più che certa e più che concreta, che ogni persona sperimenterà definitivamente, dopo quel fatidico momento che la fede in Cristo induce ad attendere con viva speranza, senza alcun timore.



giovedì 18 ottobre 2012

DALL’ELIOCENTRISMO AL CRISTOCENTRISMO




La rappresentazione cristiana del cielo non trova corrispondenza nel sistema eliocentrico, perché questo scaturisce da una dottrina pitagorica che nega la realtà percepita, e la verità non può essere collegata con l’errore.
Abbiamo scritto infatti che l’eliocentrismo costituiva il simbolo del culto segreto del dio Sole che i sacerdoti egizi tramandarono ai pitagorici, insieme a tutti gli aspetti rituali e magici ad esso collegato riportato in auge dagli ermetisti rinascimentali.
Per definire un’immagine metafisica che rifletta il mondo in senso cristiano senza negare l’evidenza, conviene mettere tra parentesi il modello scientifico dell’universo elaborato sulla base della teoria copernicana e riconsiderare alcuni argomenti sviluppati dalla filosofia tomista e dall’insuperabile san Tommaso d’Aquino, troppo in fretta messi fuori dall’ambito della scienza razionale.
Come è noto, Copernico, nella metà del 1500, mise in piedi un traballante modello che postulava il sole centrale, intorno al quale ruotavano i pianeti, Terra compresa. Modello che non funzionava per nulla, perché in disaccordo con le osservazioni e le tabelle planetarie. Infatti le orbite dei pianeti erano supposte circolari e non ellittiche come poi dimostrò il pitagorico Keplero. Le cui tre famose leggi dimostrano la validità matematica del modello eliocentrico, ma non la sua realtà fisica. Nonostante la sua inconsistenza iniziale, il modello copernicano venne accolto con molto fervore dalle aristocrazie che avevano in odio il tomismo ed il magistero Romano.
Forse non per puro caso, l’incarico di dare consistenza scientifica al modello copernicano partì dall’università di Wittenberg, stessa città dove qualche anno prima (1517) Lutero (che criticò apertamente Copernico) aveva pubblicato le sue tristemente famose 95 tesi. Venne infatti affidato ad Erasmus Reinhold, astronomo presso tale università, l’impegnativo compito di preparare delle tavole dei moti celesti basate sulla teoria di Copernico. Queste vennero pubblicate nel 1551 con il nome di «Tavole Prutenicae», in onore del duca di Prussia.
Nella prefazione a questa opera, Reinhold dopo alcuni retorici complimenti, non rinunciò a proferire una tagliente critica, scrivendo che Copernico pur essendo un uomo di grande cultura: «tuttavia si sottrasse alla fatica della costruzione delle tavole, così che se si usano le sue tavole per fare i conti, il calcolo non è neppure in accordo con le osservazioni con cui si basano le fondamenta del lavoro».
Il modello copernicano non era nemmeno più semplice di quello geocentrico di Tolomeo perché in esso venivano utilizzati gli epicicli in modo addirittura maggiore. Inoltre, Copernico aveva postulato l’esistenza di un terzo moto della terra, oltre quelli di rivoluzione e rotazione, che denominò «moto in declinazione».
Del resto, Tycho Brahe (contrario al modello eliocentrico) riuscì a fornire predizioni superiori a quelle delle Tavole Prudeniche (copernicane) utilizzando le precedenti Tavole Alfonsine (di ispirazione tolemaica).

Pur non essendo né più preciso, né più semplice del sistema tolemaico, sotto la martellante spinta dei circoli anticlericali, il modello eliocentrico prese comunque il sopravvento su quello geostazionario, nonostante le sue basi fossero minate da un errore o abbaglio di base. Ed un piccolo errore iniziale come diceva san Tommaso diventa grande alla fine, perché viene a riflettersi anche in campi diversi da quello specifico dal quale ha tratto origine.
L’errore che caratterizza il modello eliocentrico è di tipo metodologico. In genere viene considerato come un grande merito compiuto da Galilei. Il quale, non potendo negare il movimento del sole attraverso il cielo, proclamò la fallibilità dei sensi e della percezione, contraddicendo tra altro la sua metodologia induttiva fondata sul valore delle “sensate esperienze”.
Galileo, infatti, da un lato proclama la validità del metodo sperimentale, il primato dell’esperienza sul fenomeno rispetto alla sua descrizione. Dall’altro, volendo far prevalere il credo eliocentrico, afferma la necessità di far “violenza al senso” (negando il fenomeno percepito), rispetto alla ragione stessa, ad imitazione dei pitagorici, i quali appunto insegnavano a proiettare sulla realtà l’illusione razionale.
Del resto, egli accettò il copernicanesimo non per la sua maggior economicità o precisione, ma per fede ed emulazione pitagorica, come si deduce da una sua Lettera Copernicana: «non posso trovare termine all’ammirazione mia, come abbia possuto in Aristarco e nel Copernico far la ragion tanta violenza al senso, che contro a questo ella si sia fatta padrona della loro credulità».
Il baratto galileiano della realtà con la sua rappresentazione ha aperto le porte alla determinazione di un mondo parallelo a quello reale, idealizzato razionalmente e virtualmente vero. Di conseguenza, la ragione risulta come prigioniera del suo potere immaginativo e creativo pressoché infinito, in base al quale continua a proiettare se stessa su una realtà razionalizzata producendo elementi su elementi, teorie su teorie.
Così la scienza induttiva basata sui protocolli sperimentali, tuttavia subordinata a formalizzazioni sempre più complicate ed astratte, contribuisce ad alimentare il distacco dalla realtà concreta, fornendo una conoscenza sempre più raffinata del modello teorico, più che della realtà stessa. Questo sdoppiamento della conoscenza si evidenzia appunto a partire dal movimento del sole, considerato apparente per salvaguardare la teoria che lo postula in quiete.
Il moto del sole percepito dallo strumento della vista da tutti utilizzato smentisce la teoria eliocentrica. Ma si preferisce smentire l’evidenza del fenomeno fin troppo palese, per salvaguardare una teoria che evidente non lo è affatto e che funziona soltanto nella mente immaginativa. La stessa sulla quale opera la magia.

Per definire un’immagine metafisica della realtà che la rifletta, senza voler negare le acquisizioni della scienza moderna, occorre partire da dati certi ed evidenti che la realtà stessa fornisce. Gli stessi ai quali si riferisce il realismo moderato di S. Tommaso d’Aquino.
Il primo dato certo è la quiete della Terra ed il movimento del Sole, dei pianeti e del cielo intorno ad essa. Movimento indubitabile da tutti percepito che si presenta come una specie di primo principio della conoscenza cosmologica.
Il secondo elemento è il senso di ordine che deriva dai corpi che si dispongono finalisticamente come dicevano gli Scolastici nel luogo corrispondente alla loro natura. I corpi pesanti verso il basso, i leggeri verso l’alto. Il basso e l’alto intesi non in senso relativo, ma assoluto.
Non è il centro della terra che “attrae” i corpi secondo la legge di gravitazione di Newton. Ma questi si muovono naturalmente verso il loro luogo per corrispondere alla legge d’ordine dell’universo che dispone il leggero sopra il pesante, l’alto sopra il basso.
Questa disposizione metafisica degli elementi secondo i classici strati sovrapposti (terra, acqua, aria, fuoco) è valida ovviamente in ogni luogo della Terra. Anche per gli abitanti situati in due punti opposti del nostro pianeta. In questo caso però l’”alto” dell’uno corrisponderebbe al “basso” dell’altro.
Affinché l’alto ed il basso abbiamo lo stesso verso anche agli antipodi si postula una forma metafisica della Terra che la consideri in senso esosferico, più che endosferico. Ossia, una Terra che contiene metafisicamente tutta la realtà percepita, rivolta così verso il centro, come i componenti di una tavola rotonda lo sono rispetto al centro della stessa.
Un universo concavo più che convesso. L’infinito nel finito. Un mondo rivolto verso l’interno della Terra, nel quale ruotano i cieli con tutti i corpi celesti sempre più insensibili, intorno al Centro universale e trascendente, l’Atto Puro, il Motore Immobile, prova dell’esistenza di Dio, secondo san Tommaso.
Nella cosmologia scolastica infatti Dio rappresenta la causa, il fine ultimo dell’universo. Il quale si muove perché mosso dal desiderio di ritornare in Dio, imitandone la perfezione, in quanto tutte le cose tendono naturalmente alla pura attualità, alla realizzazione della migliore forma possibile.
San Tommaso afferma che il sommo Bene attrae a sé il mondo e lo domina amorevolmente, perché «Dio è il fine di tutte le cose, come ne è anche il creatore: tutte le cose sono perciò soggette al governo, alla provvidenza divina» (S. T. q. 103, 5).
E se Copernico nel capitolo X del suo «De revolutionibus» scriveva che il centro del mondo deve essere attribuito al Sole, a maggior ragione affermiamo che il mondo deve essere centrato nel Dio Trinitario, il quale «come su un trono regale, governa la famiglia degli astri che gli sta intorno», parafrasando le stesse parole che Copernico utilizzò per presentare il Sole non come creatura, ma nello stesso senso di Ermete Trismegisto, ossia come “Dio visibile”.
Gli scolastici ritenevano che i sette pianeti visibili fossero collocati su altrettante sfere trasparenti, dette anche cieli. Esterni a questi, l’ottavo cielo delle stelle fisse ed il nono cielo, il Primum mobile, l’Empireo, cielo di Dio. Tutto questo all’esterno della Terra considerata immobile ed al centro dei nove cieli. Ovviamente, sempre meno materiali.
Ribaltando questa immagine dei cieli, cambiando la circonferenza con il centro, si determina una nuova immagine metafisica dell’universo, considerato interno alla Terra e centrato nell’Empireo, il Primo motore incorporeo e non quantificabile. Questo è anche definibile come Appetibile (ciò che muove, senza muoversi) essendo l’unico motore non mosso rispetto all’Appetente (ciò che è mosso).
Al Motore Immobile spetta il luogo nel quale tutto confluisce e dal quale tutto prende energia, ossia il centro, mentre la Terra corrisponde all’estremo universale, la sfera materiale più bassa della creazione. Il cielo con tutti i suoi elementi sempre meno sensibili ruotano internamente alla Terra intorno al Centro universale, l’Appetibile, a velocità costante, trascinati dal movimento perpetuo e circolare dell’impalpabile “etere”.
E poiché la natura non fa nulla senza uno scopo, ma sceglie sempre la possibilità migliore, il cielo, come dicevano gli Scolastici, si muove secondo la direzione più nobile, verso destra. Dove tutti noi vediamo effettivamente sorgere e tramontare ogni giorno Sole, stelle e pianeti.
Tutto questo secondo un’armonia che rispecchia la perfezione dell’ordine dinamico, che Dio ha impresso nell’universo per manifestare la sua Gloria, per partecipare anche alla più infima creatura il perfetto splendore del suo Essere divino, immutabile ed imperturbabile nella sua perenne felicità. 


mercoledì 12 settembre 2012

DON ALBERIONE E LA MASSONERIA





L’entusiasmo e l’ottimismo con i quali il sacerdote paolino don Rosario Esposito ed altri religiosi si impegnarono, a partire dal 1960, per stabilire un dialogo con i massoni, derivano dagli aspetti esteriori che la propaganda muratoria trasmette, dissimulando le zone oscure del suo retroterra iniziatico. Ossia, il significato relativo ai riti ed ai simboli, il giuramento segreto e l’attività delle logge coperte, i rimandi alla misteriosofia egizia, i collegamenti con la magia, la finanza occulta, i riferimenti rituali all’attività del sole, etc. 
Anche in virtù di tali zone d’ombra, l’atteggiamento ufficiale della Chiesa nei confronti della Libera Muratoria rimane sostanzialmente lo stesso, nonostante le effettive aperture del Concilio circa il dialogo con il mondo. Continua infatti ad essere valida l’incompatibilità fra le due appartenenze. Nella Dichiarazione sulla Massoneria, emanata il 26 novembre 1983 dal Cardinale Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina e per la Fede, si legge che: 
«Rimane pertanto immutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazione massoniche, poiché i loro principi sono stati sempre considerati inconciliabili con la dottrina della Chiesa e perciò l’iscrizione ad esse rimane proibita. I fedeli che appartengono alle associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla Santa Comunione».
Alla luce di tale giudizio, provocarono sconcerto alcune dichiarazioni filomassoniche rilasciate da don Esposito. Il quale, intervistato dal periodico massonico Corriere Partenopeo (anno XIII, n° 5, luglio 1991), affermò senza remore di sentirsi «massone fino al profondo dello spirito … solidale con loro (i massoni), condivido tutto: le costituzioni, i landmarks, gli antichi doveri. Sono totalmente con loro». 
Queste pubbliche ed incondizionate prese di posizioni a favore della massoneria, confortate dall’apprezzato lavoro svolto al fine di conciliarla con il Sacro Palazzo, indussero i massoni a pronunciare un importante riconoscimento di stima a tale sacerdote. Il 2 dicembre 2006, infatti, don Rosario Esposito, ormai minato nella salute, venne nominato “Maestro Libero Muratore Onorario” della Gran Loggia d’Italia, in pomposa cerimonia di fronte a 400 massoni
Quest’episodio fece scalpore. Si rese necessario l’imbarazzato chiarimento del superiore della Famiglia Paolina, don Silvio Sassi, il quale precisò che «la cerimonia alla quale ha partecipato il suddetto sacerdote con l’attribuzione del titolo, non richiesto, di Maestro Libero Muratore Onorario, non riveste in alcun modo il significato di un rito di iniziazione né di pubblica appartenenza. Si tratta, infatti, di una libera iniziativa della Massoneria della Gran Loggia d’Italia per esprimere apprezzamento e gratitudine all’attenzione manifestata da don Rosario Esposito in tanti anni di contatti e di dialogo. Ciononostante non si può non deplorare che il sacerdote, sia pur in situazione di grave malattia, abbia accettato tale onorificenza». 
Don Esposito senz’altro agiva in totale buona fede. Solo Dio sa se il suo impegno di studioso e di scrittore abbia fornito, come speriamo, frutti di conversione in quelli che definiva suoi “parrocchiani”, i massoni. Se uno solo di essi si fosse convertito alla vera fede, l’audace opera di don Esposito troverebbe conferma di ragione. Sempre scongiurando che non sia avvenuto il contrario. 
Deve essere tuttavia ben chiaro che la Famiglia Paolina, fin dagli esordi, si è sempre opposta alla Libera Muratoria, assecondando pienamente i documenti rilasciati dai Papi sotto i quali si consolidò questa Istituzione. A partire da Leone XIII. Il quale non perdeva occasione per ribadire che «il Cristianesimo e la Massoneria sono essenzialmente inconciliabili così che iscriversi all’una significa separarsi dall’altra» (Lettera al popolo italiano, 8 dicembre 1892). 
Don Esposito conferma che don Alberione «parla spesso della Massoneria, sempre per denunciarne la posizione fondamentalmente anticristiana e la pericolosità» (in Ecumenismo e dialogo Chiesa-Mondo nell’insegnamento di d. Giacomo Alberione, in Palestra Clero, 1989, pp. 331-358). L’Alberione scrupoloso com’era non poteva trascurare «che tutti i documenti ecclesiali sulla Massoneria sono radicalmente avversi ad essa, e le addebitano tutti i mali che hanno colpito la Chiesa e la società dal secolo XVIII ad oggi» (ib.). 
Ricordando le tappe della formazione della Famiglia Paolina, il beato Alberione afferma infatti di aver sentito la «necessità di scuotere il gioco della dominante massoneria, con sistemi, organizzazioni, azioni aggiornate … L’opera vigile e risoluta di Pio X aveva illuminato e richiamato gli uomini di buona volontà … Queste cose ed esperienze, meditate innanzi al Santissimo Sacramento, maturarono la persuasione: sempre, solo ed in tutto, la Romanità. Tutto era stato scuola ed orientamento. Non vi è salute fuori di essa; non occorrono altre prove per dimostrare che il Papa è il gran faro acceso da Gesù all’umanità, per ogni secolo» (G. Alberione, «Abundantes divitiae …», punti 49-57).
I tempi sono molto cambiati da allora, rispetto alla “Romanità”. Le aperture conciliari e la stessa opera filomassonica di don Esposito devono avere influenzato molti religiosi, oggi più che mai ottimisticamente lanciati verso la determinazione di una Chiesa nuova, in rottura con il passato ed in continuo dialogo con un mondo che si sta globalizzando ed omologando sempre più, in prospettiva mondialistica più che cattolica. 
Questa apertura verso la modernità interna al corpo ecclesiale è stata confermata dal direttore di Famiglia Cristiana, don Antonio Sciortino, in una recente intervista, nel corso della quale ha dichiarato: «Dobbiamo uscire dalla vecchia (sic!) visione preconciliare della Chiesa identificata nei preti, nei vescovi e nel Vaticano. Bisogna tornare alla concezione dove i laici hanno la stessa dignità e la stessa vocazione all’interno della Chiesa, come popolo di Dio, dove tutti siamo uguali in forza del battesimo con diversità di ruoli e di funzioni. Dopo di che, la Chiesa nella storia ha sempre avuto i suoi problemi. È divina come costituzione, ma è formata da uomini con tutte le loro pecche. Non è questa la cosa che deve preoccupare» («Il Paradiso non è una nuvoletta dorata – Intervista a don Antonio Sciortino», Prima.it n. 427, aprile 2012). 
Viene così espressa l’insofferenza di molti sacerdoti e teologi circa la Chiesa preconciliare, definita “vecchia” rispetto alla sua immagine restaurata ed aperta alle esigenze del mondo moderno e di altri “palazzi”. Duemila anni di storia cortocircuitati da questa concezione ecclesiale storicistica ed antigerarchica che, nel tentativo di unificare, moltiplica le voci interne, creando un clima di confusione più conforme a Babilonia che a Roma. 
Don Sciortino svolge un ruolo di grande influenza e responsabilità all’interno della Chiesa, proporzionato peraltro al suo indubbio valore personale e professionale. Sembra persino impossibile che un personaggio tanto capace e preparato sia così autolesionista da non rendersi conto di colpire, con interventi di questo tipo, l’albero nel quale egli stesso è cresciuto fino alle sommità, e nel quale ha trovato modo di formare e influenzare le coscienze di molti fedeli. Ricordiamo peraltro che se qualcuno dicesse che la Chiesa Cattolica non è gerarchica, istituita da ordinazione divina, composta da vescovi, presbiteri e ministri: «anathema sit» (DS 1776).
In effetti, i problemi dei Paolini, crisi economico-editoriale e vocazionale compresa, sembrano essere correlati al prevalere di questa tendenza dottrinale “innovativa”, in rottura con il passato, che si esprime anche in ambito liturgico. Del resto, lex orandi lex credendi.

È certo che Don Alberione, il Giaccardo, il canonico Chiesa, che con scrupolosa osservanza e fede sincera hanno legato la loro opera a Dio religiosamente, mediante “cambiali”, “patti”, “contratti” ben accetti al Signore, non avrebbero acconsentito a procedure ed interpretazioni liturgiche che, come una cartina di tornasole teologica, dimostrano dubbia ortodossia in chi le attua. 

Le celebrazioni dei primi paolini erano all’antica, in latino della volgata, con l’altare rivolto verso Dio. Il loro breviario era quello romano e veniva da essi scrupolosamente recitato quotidianamente, malgrado tutti i comprensibili impegni di una congregazione nascente. Essi appartenevano alla tanto vituperata Chiesa “preconciliare”, che però servivano con somma devozione ed obbedienza, senza accusare di vecchiaia (perché non si accusa di vecchiaia la propria mamma), senza sentirsi migliori di quanti li avevano preceduti, per quanto forse anche allora i tempi cambiassero rispetto al passato.

Probabilmente i beati Paolini, riposti sugli altari come belle figure da omaggiare, oggi si sentirebbero a disagio nella loro Famiglia, così moderna ed aperta verso quel mondo che essi fuggivano, per convertire. Ad essi forse toccherebbe la stessa sorte dei fratelli che amano la Tradizione e che per questo vengono guardati con sospetto dalla Chiesa dialogante con la modernità e la mondialità. 
Questi fratelli, innamorati come l’Alberione del mondo alla luce della Romanità, trovano tuttavia consolazione e premio nel campo disertato e disprezzato dagli altri, ove è rimasto sepolto l’antico “tesoro” (la Messa in latino, la salmodia gregoriana, il Breviarium Romanum), oggi in disuso e tristemente disertato proprio da quelli che, grazie ad esso, si trovano dove sono.






venerdì 24 agosto 2012

LA "CONTRO-ALLEANZA"



Sulle suggestive sponde del lago di Albano una cinquantina di anni fa venne redatta la costituzione pastorale Gaudium et Spes, il documento più ampio ed anche più audace emesso dal Concilio Vaticano II. Esso invita ad un atteggiamento d’apertura e comprensione verso quel mondo giudicato con sospetto prima del Concilio.
La Chiesa preconciliare infatti aveva messo a fuoco e stigmatizzato senza equivoci le dottrine erronee ed i principali errori del tempo moderno. Il «Sillabo» (1864) di Pio IX analizza uno per uno questi errori, già messi in evidenza dai suoi predecessori in Encicliche e Lettere apostoliche, a partire da Clemente XII con la Costituzione «In Eminenti», del 28 aprile 1738.
Errori elencati in ordine: panteismo - naturalismo - razionalismo - indifferentismo - socialismo - comunismo - società segrete (massoneria) - errori sulla società civile considerata sia in sé stessa che nei suoi rapporti con la Chiesa - errori sulla morale - sul matrimonio cristiano - sul primato civile del Romano Pontefice - errori che si riferiscono al liberalismo contemporaneo.
Ebbene, tutto questo corpus ideologico erroneo, secondo il punto di vista del cattolicesimo tradizionale, non trova traccia in tale documento conciliare. Non per niente, l’allora cardinale Ratzinger definì la Gaudium et spes come: «una revisione del Sillabo di Pio IX, una sorta di anti-Sillabo … nella misura in cui rappresenta un tentativo di un’ufficiale riconciliazione della Chiesa col mondo quale si è evoluto dopo il 1789» («I principi della teologia cattolica», 1985, pp. 425-427).
Infatti, mentre il Sillabo condanna senza mezzi termini le devianze ideologiche della società moderna connesse allo spirito illuministico (massonico) ufficializzato dalla rivoluzione francese, la GS accoglie invece benevolmente gli aspetti positivi che derivano da questo stesso spirito, senza mettere in opportuna evidenza quelli negativi, come se il mondo non nascondesse pericolose insidie, dietro la facciata del progresso tecnologico e culturale, dietro le rivendicazioni del liberismo e del progressismo laicista.
Senza risalire alle cause delle problematiche presenti nella società moderna, l’ottimistica costituzione pastorale GS non riporta nessun cenno sul pericolo derivante dall’azione delle sette esoteriche, delle officine massoniche assai attive nella società contemporanea attraverso radio, televisioni, giornali, case editrici, siti internet, università, banche, etc. Attraverso questi potenti mezzi, la propaganda laicista è riuscita così a rivoltare le carte in tavola, creando anche all’interno della Chiesa una profonda frattura e divisione.
Costituisce infatti un dato evidente che oggi, alla luce dei documenti conciliari, le posizioni espresse dalla Chiesa tradizionale, antimassonica, antimodernista, siano divenute oggetto di critica e di riserva da parte della Chiesa post conciliare. Le aperture verso la modernità proposte dalla GS sembrano costituire a tutti gli effetti un luogo di contraddizione rispetto alle posizioni tradizionali espresse dalla Chiesa.
È dunque evidente che la Chiesa contemporanea non corrisponde a quella preconciliare nella liturgia, pastorale, lingua, ecc. Anzi, in questo le si contrappone. Al punto che già lo stesso Paolo VI parlò della possibilità di uno scisma al suo interno: «Un fermento praticamente scismatico divide, suddivide, spezza la Chiesa … Vi sono anche tra noi quegli “schismata”, quelle “scissurae” che la prima lettera ai Corinzi di san Paolo dolorosamente denuncia» (Omelia in Cena Domini, 1969).
Difatti, alla luce della GS si è determinato non solo un distacco dalla Tradizione. Ma addirittura una sorta di condanna più o meno mascherata della Chiesa post-conciliare verso la Chiesa post-tridentina, verso il latino, gli altari rivolti a Dio, la concezione gerarchica, il primato di Pietro, la talare, ecc.
Molti di noi, fedeli “moderni”, siamo persuasi dalla falsa idea che tutto quanto caratterizza la Chiesa preconciliare sia ormai sorpassato ed appartenente ad un Medioevo oscuro definitivamente tramontato. Come se la storia bimillenaria che costituisce la Traditio Ecclesiae e dalla quale è nata la stessa “Chiesa moderna” fosse stata messa tra parentesi, dopo il processo irreversibile avviato dalla pastorale espressa dal Vaticano II. Nonché della sua conseguente bonaria apertura verso il mondo del progresso tecnologico, ideologicamente indifferente ai principi evangelici.
Sembrano così appartenere alla preistoria le tracce dell’enciclica di Leone XIII, Umanum Genus (20/4/1884), contro la massoneria. Documento nel quale il genere umano viene giudicato come diviso in «due campi diversi e nemici tra loro». Il primo ordinato alla diffusione della verità e del bene. Il secondo foriero dell’errore e del male. «Il primo è il regno di Dio sulla terra, cioè la vera Chiesa di Gesù Cristo … Il secondo è il regno di Satana, e sudditi ne sono quanti, seguendo i funesti esempi del loro capo e dei comuni progenitori, ricusano di obbedire all’eterna e divina legge, e molte cose imprendono senza curarsi di Dio, molte contro Dio».
In sostanza, si affermava l’agostiniana contesa tra la città di Dio e la città terrena. Ma Leone XIII specificava ulteriormente che «i partigiani della città malvagia, ispirati ed aiutati da quella società, che largamente diffusa e fortemente congegnata prende il nome di Società Massonica, pare che tutti cospirino insieme, e tentino le ultime prove».
Un “complottista” di prima qualità Leone XIII. Il quale tuttavia si poneva su una linea di continuità rispetto ai suoi predecessori. A partire da Clemente XII che condannò la massoneria pochi anni dopo la sua fondazione ufficiale del 1714 in una taverna di Londra, nella Costituzione In eminenti, del 24 aprile 1738. Seguito poi da Benedetto XIV (Cost. Providas, 18 maggio 1751); Pio VII (Cost. Ecclesiam a Jesu Christo, 13 Settembre 1821). Leone XII (Cost. Quo graviora, 23 Marzo 1825), «abbracciando in questo punto gli atti e i decreti de' suoi Antecessori, li ratificò e suggellò con irrevocabile sanzione. Nel senso medesimo parlarono Pio VIII (Encicl. Traditi, 31 Maggio 1829), Gregorio XVI (Encicl. Mirari, 15 Agosto 1832) e più volte Pio IX (Encicl. Qui pluribus, 9 Novembre 1846. Alloc. Multiplices inter, 25 Settembre 1865, ecc.)», si legge ancora nella HG.
Una indiscutibile e formidabile linea di unità e continuità nella pastorale ecclesiastica, che Leone XIII rilanciò al suo successore Benedetto XV. Il quale, nel 1917, l’anno delle apparizioni di Fatima, regolamentò nei canoni 684 e 2335 del Codex Juris Canonici la scomunica alla massoneria universale, implicitamente affermata dai Papi a partire dal 1738.
Netta, lineare e senza spazi di trattativa dunque la presa di posizione della Chiesa Romana nei confronti di logge e officine massoniche, giudicate in modo assolutamente negativo, proprio in ordine alla loro insidiosa pericolosità seduttiva.
Dopo cinquant’anni, l’atteggiamento di chiusura della Chiesa nei confronti della massoneria, si è mitigata nei termini e nella sostanza. Il solco insuperabile un tempo posto fra questi fronti contrapposti trovò diversi luoghi di contatto, determinati dalla ricerca di ciò che unisce rispetto a ciò che divide. Nella Gaudium et spes l’apertura al dialogo proposta ai singoli fedeli ed alle Chiese particolari non deve escludere nessuno: «né coloro che hanno il culto di alti valori umani, benché non ne riconoscano ancora la Sorgente, né coloro che si oppongono alla Chiesa e la perseguitano in diverse maniere» (GS 92 f).
Eppure qualcuno viene escludo da questo dialogo a tutto campo. Sembra paradossale, ma l’apertura verso il mondo sollecitata dalla Chiesa post conciliare corrisponde necessariamente ad una chiusura verso la Chiesa preconciliare che escludeva ogni trattativa e dialogo con quelli che si oppongono alla Chiesa e la perseguitano in varie maniere. Ossia, alla massoneria ed alle sette segrete. Questo per non incorrere nell’ingenuità di Eva che, per dialogare con la serpe, finì col trasgredire gli ordini divini.
Nel Pantheon dell’antica Roma erano ammesse tutte le religioni tranne quella cristiana. Nel pantheon moderno, sono ammesse tutte le correnti ecclesiali ed extra. Tranne una. Quella legata al tradizionalismo. Eppure Benedetto XVI ribadisce ad ogni occasione la necessità dell’ermeneutica della continuità, rispetto alla Tradizione, per non soffocare lo Spirito di Dio che agisce in tutti gli uomini ed in tutti i tempi.
Ma al giorno d’oggi le carte sono state mischiate al punto che la Chiesa contemporanea trova più elementi di contatto con il suo nemico di sempre, la massoneria, rispetto a quanti ne riconosca con la Chiesa preconciliare. Come se si fosse determinata una “contro alleanza” rivolta verso chi in precedenza giudicava insanabile questa contrapposizione. Infatti, paradossalmente, una parte della Chiesa sembra essersi alleata con quell’associazione che i Papi preconciliari definivano il nemico del genere umano. In una recente pubblicazione filo-massonica, si legge che «Chiesa e Massoneria sono dunque, nella realtà dei fatti, molto più vicine di quanto non lo siano Chiesa e Fraternità sacerdotale “San Pio X”, anche nel rispetto e nel riconoscimento delle fonti cui attingono» (M. Biglino, Chiesa Romana Cattolica e Massoneria – Realmente così diverse?, Infinito Edizioni, Collegno (To), 2009, p. 79).
Un pasticcio senza precedenti. Un’affinità incomprensibile, quella tra Chiesa e massoneria, se non alla luce delle ammonizioni che riguardano gli ultimi tempi, quando l’inimicus hominis riuscirà a confondere fin dove è possibile anche gli eletti. Costituisce peraltro una dolorosa realtà il fatto che la Chiesa non sia più garanzia di verità, proprio perché ha perso la sua unità e coesione interna.
Da una parte, le ragioni della Chiesa post-conciliare in dialogo anche con la massoneria. Dall’altra, l’irriducibilità di quella tradizionalista anti-massonica. In mezzo, tanti fedeli in buona fede, disorientati, in attesa dello sviluppo degli eventi. Tutto questo ovviamente a grande vantaggio dell’avversario.
Tuttavia, nei tempi più difficili, il Signore ha assicurato di riservare a sé un “resto d’Israele” (Rm 11, 4-6). Quelle ginocchia (1 Re 19, 18) che non si piegheranno davanti ai falsi idoli delle fede e della ragione, nonostante i giudizi negativi di chi invece trae vantaggio dal mercanteggiare con essi.



sabato 7 luglio 2012


IL “BOLLONE” DI HIGGS
I fisici hanno trovato la “particella di Dio”. Che ovviamente non ha nulla a che fare con l’Altissimo. Ma che esprime semmai quell’antico principio (dal quale è derivata) dell’inesauribilitàdella materia, affermatoda Lenin e riaffermato da Engels nel testo «Anti-Düring».Più o meno mascherato, infatti, il materialismo rappresenta l’asse portante della scienza moderna. Il che non esclude in essa svolte idealistiche.
Gran parte del dibattito fra realismo ed antirealismo che agita la moderna epistemologia rientra nell’ideologia materialistica, che rappresenta il cuore pulsante della fisica.Stessa ideologia dalla quale,due millenni e mezzo, fa presero via le dissertazioni dei filosofi ionici. I quali giunsero ad identificare l’essere di Parmenide con le particelle che costituirebbero la materia. Gli atomi.
Questa ideologia, il monismo materialista,implica l’identificazione dell’essere reale con il pensiero. Ossia, della fisica con la matematica. Che dunque costituiscono una inscindibile, ma contraddittoria, unità. Infatti, ogni parte è concepita in funzione dell’altra, nessuna delle due è fondata in sé. Di conseguenza, da un lato si determina la corrente idealistica: il pensiero determina la materia (il modello precede il fenomeno). Dall’altro, la svolta materialistica: la materia determina il pensiero (il fenomeno precede il modello).Queste sono le parti che animano il contrasto dialettico interno alla scienza moderna. Ma non solo.
I tentativi di individuare nella sola dimensione materiale una teoria unitaria della materia, ricalcanoe ripropongonoglisforzi, falliti, dei filosofi antichi di far rientrare la totalità dei fenomeni cosmologicinei soli elementi naturali. Essi non riuscirono infatti ad individuare la causa trascendente posta al di là del sensibile. Per questo sulle stesse sponde ove si disquisiva razionalmente sulla costituzione del mondosi celebravano ritualmente i “misteri”, le iniziazioni super segrete basate sul sesso e sul sangue. Il razionalismo che sfociava nel suo opposto, il raziocinio che trovava sbocco nelle superstizioni rituali. L’inconfessabile retro della medaglia di una realtà purtroppo sempre più attuale.
I pitagorici furono maestri in questo sdoppiamento. Essi identificarono non solo, come si dice,la matematica con la fisica, i numeri con la realtà. Ma anche tutto questo con la magia, secondo le linee guida apprese dai loro maestri: i sacerdoti egizi. Il significato simbolico, segreto e “spiritico” attribuito ai numeri. Scrive Diodoro (I secolo a. C.) che: «I più colti fra i greci hanno l’ambizione di visitare l’Egitto per studiare leggi e principi quanto mai degni di nota. Per quanto questo paese fosse chiuso agli stranieri, famosi antichi l’hanno visitato: Orfeo, Omero, Pitagora, Solone».
Del resto, Platone afferma nel Timeo,oltre alla dottrina dei solidi geometrici e dell’iperuranio, di aver appreso proprio da Solone il mito di Atlantidee la credenza che il demiurgo fece «tante anime quante sono gli astri, e ne distribuì una a ciascuno … e chi vivesse bene il tempo assegnato, tornato nuovamente nell’abitazione dell’astro proprio, vi menerebbe la vita felice e consueta».
A questo e ad altri brani superstiziosi presenti nel Timeosi ispirano i testi del Corpus Hermeticum. Ad esempio, quello ove il dioHermes, riflesso dell’egiziano Horus,domanda al discepolo Asclepio: «Sapevi che l’Egitto è fatto a immagine del cielo?» (Asclepio, III). Egitto, la “terra nera”, patria dell’astrologia, dell’alchimia, della numerologia, della stregoneria. Delle scienze occulte e di quelle razionali. Dei numeri e dei simboli. Terra nella quale i pitagorici, antichi e moderni, ci hanno riportato. Anche attraverso i prodigi della scienza, che produce un’evoluzione tecnologica non corrispondente ad un progresso di civiltà.
Comunque, il considerare la materia come sostanza unica del mondo non può condurre ad una teoria unitaria e coerente dei fenomeni naturali in grado di comprendere ed assimilare razionalmente gli stessi. Infatti, la materia implica una moltiplicazione all’infinito degli enti fisici. Molteplici specie, molteplici materie. Anche se la materia è la stessa, i suoi prodotti sono infiniti. Così come i suoi costituenti, che si moltiplicano ad libitum come una sorta di gioco delle parti, senza soluzione di continuità.
La fisica che si trasforma in matematica, ela matematica che si trasforma in fisica.Non per niente Heisemberg ha affermato che: «L’idea della obiettiva realtà delle particelle elementari si è quindi sorprendentemente dissolta, e non nella nebbia di qualche nuova, poco chiara o ancora incompresa idea di realtà. Ma nella trasparente chiarezza di una matematica che non rappresenta più il comportamento della particella, ma il nostro sapere sopra questo comportamento».
Materia che si converte in idea, ed idea che si mutain sostanza della materia. Opposti che si equilibrano, si oppongono e si convertono l’uno nell’altro, secondo le leggi della dialettica eraclitea, prima, ed hegeliana, poi. Ossia, il serpente che si mangia la coda, l’ouburos, lo Yin e lo Yang, la legge delle mutazioni perenni del Tao.
San Tommaso insegna che per uscire da questo gorgo, occorre individuare e riportare il tutto alla sua causa naturale, l’Essereautosussistente al quale tutto partecipa secondo modalità diverse. Infatti «tutte le cose contrarie e diversi esistenti nel mondo comunicano sempre in qualcosa di unico … Dunque, deve esistere per tutti un unico principio che sia la causa dell’essere (causa essendi) di tutti».
Ma la scienza moderna difficilmente ricorrerà ad un teologo del Medioevoper sciogliere contraddizioni e dubbi. Del resto, tra poco spunterà da qualche parte, qualcos’altro. Semmai l’«antiparticella di Dio». Ossia, la particella di Lucifero. Responsabile non della vita, che è da Dio. Ma della morte. Che viene dal diavolo. La materia in conflitto con l’antimateria. Riflesso gnostico della lotta fra il bene ed il male. Tra la vita e la morte. Equilibrio delle parti. Monismo materialista che risuona nella fisica moderna e si cela dietro le più avanzate ricerche sperimentali.
Dunque, siamo alle solite.Il clamore mediatico non perde occasione per esaltare in modo eccessivo i risultati della scienza, anche se parziali e transitori. Ed un fenomeno naturale viene confuso con la sua interpretazione.Come se questa corrispondesse, più che al possibile, al“vero”. Finché verrà fuori “qualcos’altro” che rimetterà in discussione il tutto, creando altro clamore. Confusionecontinua del reale con il razionale. Frutto (per molti sublime) della filosofia di Hegel. Che ha oscurato come una nebbia gli insuperati vertici della metafisica dell’Essere di san Tommaso d’Aquino.
Non per niente, è il dottore angelico che ha dimostrato senza ambiguità le cinque vie che conducono la ragione a Dio. Nonché la Sua stessa esistenza, che è causa della nostra. Questa è la vera scoperta, ignorata dalla maggioranza delle persone. Scoprire Dio, questa è l’unica rivelazione in grado di cambiare il mondo, di dare un tornaconto concreto ad ogni individuo e di risanare di conseguenza tutta la società. Chi trova Dio infatti trova tutto.Nulla è più importante e vitale del legame, sempre da scoprire, che uniscela creatura al Creatore. Non c’è bisogno di super acceleratori. Né di équipe di scienziati superpagati. Basta imparare a tacere, e ascoltare il cuore della propria coscienza.
Il bosone di Higgs infatti dimostra un bel niente. Nient’altro che il potere mediatico di creare “bolle”.O in questo caso amplificato: “bolloni”. Sarebbe infatti interessante comprendere la ragione effettiva di tantaattenzione nei confronti di un’entità evanescente,resa “concreta” da uno sforzo intellettivo che dura da decine d’anni, ma soprattutto da ingenti capitali. Guai a definire tutto questo uno spreco, rispetto ai tempi che corrono ed agli squilibri del mondo. Ne andrebbe di mezzo il progresso della scienza, la fuga dalle “pestilenze teologiche” del Medioevo, il prestigio delle università, degli scienziati, l’orgoglio dell’uomo sempre più illuso di salvarsi in senso gnostico attraverso una conoscenza che in effetti giova a poco.
Questa grande bolla mediatica comunque svanirà.Prima o poi. Basterà un altro guasto del sofisticato e costosissimo acceleratore LHC, una banale interruzione di energia, ogli effetti della crisi economica per vedere svanire questa particellaaddirittura “divina” nei meandri dell’indifferenza. Dai quali più o meno sembra essere fuoriuscita. Finché verrà fuori un altro clamore. Altra distrazione. Un’ulteriore prodigiosa scoperta della scienza, che assorbirà la nostra attenzione, concentrandola tutta di qua. In questa dimensione. Come in un tentativo di oscurare il Trascendente. Il Cristo che attende chiunque, senza tregua. Senza adeguata corrispondenza.

domenica 17 giugno 2012

BABILONIA, CIVITAS SOLIS




Nel XVII secolo riprendono vita le utopie solari. Tommaso Campanella scrive l’opera di ispirazione platonica, La Città del Sole, nel 1602. Questa Città, situata nell’isola di Tabrobana, su una collina formata da sette gironi sovrastata dal Tempio, è governata da un principe sacerdote che «s’appella Sole, e in lingua nostra si dice Metafisico» (T. Campanella, Città del Sole e poesia, Feltrinelli, Milano 1962, p. 5). Per “nostra lingua” è da intendere la cosmogonia pitagorica che celebra principalmente la doppia attività dell’Astro, una di carattere naturale, l’altra di ordine psichico della quale la prima rappresenterebbe il volto metaforico.
Nell’utopia di Campanella, la figura del Sole, re e sacerdote, detiene il governo di tutta la città-stato, mediante l’ausilio di Pon, Potestà e di Sin, Sapienza. Con la prima il re Sole regola le guerre e la pace, con la seconda controlla le attività scientifiche ed artistiche. Ma anche Mor, amore-eros, contribuisce in modo determinante al governo dell’utopica città. Eros possiede il  controllo non solo dell’unione fra uomo e donna, ma anche quello della seminazione e raccolta di frutti di ogni genere “ed ogni altra cosa pertinente al vitto  e vestito e coito”. La procreazione alla luce di questa utopia è in funzione non solo del perfezionamento della razza, come avviene per gli animali, ma anche per la soddisfazione dell’eros puramente umano. È lecita pertanto la fornicazione, l’unirsi di uomo e donna anche al di là di fini procreatrici, dichiarava Campanella.
Per quanto riguarda l’aspetto socio-economico, nella Città del Sole vige un regime di tipo socialista. Tutte le cose sono messe in comune, non escluso le donne ed i figli. L’istruzione curata dallo stato è obbligatoria per tutti. La funzione pedagogica è infatti fondamentale per la formazione degli individui, in funzione degli ideali corrispondenti al potere. In negativo, si potrebbe parlare di lavaggio del cervello necessario per giungere alla massificazione ed assoggettamento psicologico-culturale del popolo. L’indottrinamento statale e la formazione di una mentalità comune è difatti indispensabile per lo sviluppo ed il mantenimento di ogni regime.
La religione della Città del Sole è ovviamente di indole solare, panteistica ed aconfessionale. Una “super religione” generale, nella quale convergono tutti i culti. Essa rappresenta «il culto dell’Universo, razionalisticamente inteso come meccanismo ideale. Si tratta in altri termini di una sintesi tra religione e scienza razionalista (con un’inclinazione per l’astrologia). L’appellativo di Sole del sommo sacerdote viene infatti tradotto con Metafisico, e il suo alto ufficio è conferito in ragione delle enormi conoscenze scientifiche» (I. Safarevic, Il socialismo come fenomeno storico mondiale, Casa di Matriona, Milano 1980, p. 122).
A questa pan-religiosità corrisponde la comunione non solo delle cose, ma anche delle persone, alla luce della liberazione dei tabù di ordine erotico-sessuale. Benessere, libertà, soddisfazione di desideri ed istinti costituiscono gli ideali utopici e riformistici da attuare nella “società ideale” a misura d’uomo. Oltre a costituire «fughe dal mondo», tali idee libertarie rappresentano il cuore dei programmi di rivoluzione e sovversione presenti in ogni epoca. Campanella infatti non fu certo originale nell’elaborare questo tipo di evasione dalla realtà e superstizione.
«Lo Stato del Sole, regno della libertà e dell’eguaglianza, era già stato al centro di un trattatello etico-politico attribuito ad un sofista greco della seconda metà del V secolo a. C., che va sotto il nome di anonimo di Giamblico. E il fascino esercitato da tale utopia doveva essere veramente intenso, se ha potuto sopravvivere sino ai tempi del nostro tardo rinascimento» (A. Donini, Breve storia delle religioni, Newton Compton, Roma 1991, p. 174).
Gli ideali utopici collegati alla religiosità solare sono alla base della rivolta antiromana, che sfociò in una sommossa di liberazione nazionale e sociale, nella seconda metà del II secolo a. C., in Asia Minore. Si narra che in quel tempo, a Pergamo, Aristonico, figlio di una schiava arpista di Efeso, si rivolse ai diseredati, ai miserabili e in primo luogo agli schiavi, promettendo loro, in caso di vittoria, la creazione di uno Stato: «senza padroni, e senza servi, senza ricchi e senza poveri… Le masse cui egli aveva fatto appello risposero con entusiasmo e l’intero regno di Pergamo, ribattezzato dagli insorti “La Città del Sole”, per oltre due anni fu nelle mani degli schiavi» (ivi), prima di essere sedata nel sangue dalle truppe romane.
La rivolta contro l’autorità imperiale romana da parte di Aristonico sulla base di irrealizzabili ideali rappresenta un’anticipazione della rivoluzione culturale avvenuta in epoca rinascimentale contro l’Imperium spirituale rappresentato dalla Chiesa Romana. Il rovesciamento del cosmo medievale a favore di quello precristiano, egizio-pitagorico, del fuoco centrale iniziò a consolidarsi grazie al diffondersi della metafisica solare espressa implicitamente dalla teoria astronomica copernicana.
Insieme a questa, prese piede una logica non più fondata sui rigori e sulle distinzioni delle categorie aristoteliche, ma sulle leggi dell’analogia, della simpatia, della corrispondenza dei contrari. La logica dell’immaginazione e del “tutto possibile”. Un teorema dello Pseudo Scoto afferma a riguardo che se si danno contemporaneamente per valide due tesi contrarie nello stesso momento, si può ricavare qualunque conclusione razionale. Sogno e magia, appunto.
L’utopia rinascimentale di Campanella sviluppò dunque gli ideali utopici espressi nel trattato dell’”anonimo di Giamblico”. Essa analogamente teorizza una società fondata sull’amore libero, governata da una politica socialista di livellamento sociale e di una comunanza di beni e cose, etc, come soluzione di ogni problema esistenziale individuale e collettivo.
Invece, secondo l’utopia lanciata da F. Bacone, ne La nuova Atlantide, nel 1624, la panacea universale, il rimedio ad ogni male sociale ed individuale deriverebbe dal “dominio della natura”, che solo la scienza razionale può perseguire (ma al quale anche la magia, per altre vie, tende). Nella sua Opera, evoca l’isola felice di Bensalem, senza rivolgersi direttamente alle istituzioni sociali e politiche, riferendosi bensì ad un Ordine, o Società, la «Casa di Salomone». Ossia, un collegio di scienziati-sacerdoti i quali consacrano la propria vita alla continua ricerca scientifica, al fine di migliorare la situazione umana e rendere possibile una felicità intesa nel concreto, più che nel trascendente.
Una sorta di “officina universale” che trova corrispondenza nelle prime accademie scientifiche che si stavano costituendo in quell’epoca in tutt’Europa, al fine di realizzare il cosiddetto paradiso in terra. Anche in questo caso, la figura utilizzata da Bacone è quella del «sole metafisico», che costituisce il «Padre della Casa di Salomone». Sarebbe infatti l’Astro, la luce interiore che illumina la mente degli scienziati e che avanza nella grande processione su un carro, sul quale appunto c’è «un sole d’oro, che splende alla sommità, nella posizione centrale».

Le utopie rinascimentali di Campanella e Bacone non sono così astratte e fantasiose, né tantomeno sorpassate, come in genere si crede. Esse costituiscono come delle linee programmatiche e messaggi in codice per i cosiddetti “iniziati” di ogni tempo. E ricalcano e ripropongono le modalità di attuazione dell’antico totalitarismo egizio, ovviamente in forme mascherate e moderne, comunque sempre connesse alla misteriosofia solare. Questo “corpus” di conoscenze razionali e magiche costituisce la base della contro-tradizione esoterica, che viene trasmessa nei secoli, immutata nella sua essenza più segreta. Dietro un’apparenza plausibile ed ingenua che attribuisce all’Astro un volto divino, si nasconde quello oscuro, ritualistico e magico, della contro-tradizione solare.
Alla “Casa di Salomone” allude Guenon, quando afferma dell’esistenza all’interno della società di «un’organizzazione incaricata di conservare integralmente il deposito della tradizione sacra, di origine non “umana” per mezzo della quale la Sapienza primordiale si comunica attraverso le epoche a coloro che sono in grado di riceverla» (R. Guénon, Il re del mondo, Adelphi, p. 17-18). Guenon interpreta come non umana l’origine di tale contro-tradizione, riferendosi probabilmente alle ispirazioni del “portatore di luce”, lo spirito anticristico che agisce nel mondo, il lucifero “magnifico apostata” tanto esaltato dalla Blavatskj dal quale discendono ed al quale sono dedicate le contro-iniziazioni.
Contro-iniziazioni che come le utopie rinascimentali tracciano la strada per riconvertire l’uomo e la società agli ideali ed all’etica pre ed anticristiana connessi dalla religiosità solare. Del resto, i simboli più famosi relativi alle due forme di totalitarismo del secolo scorso, nazismo e comunismo, svastica e stella a cinque punte, convergono nella mitologia solare. In entrambi i casi si è come riflesso il modello della civitas solis indicato dagli esoteristi antichi. Queste forme di dittature palesi sono scomparse. Ma i loro sviluppi si stanno condensando ai nostri giorni in totalitarismo mondialistico ancora più insidioso, perché quasi invisibile nella forma.
Condannata giustamente l’ideologia collegata alla svastica ed alla gnosi razzista di Thule, dalla Russia l’ideologia materialista si è diffusa in tutto il mondo, come predetto dalla Vergine a Fatima. Come dimostra la popolarità della stella rossa a cinque punte che stazionava sul Cremlino e che adesso aleggia dappertutto. Attualmente, simboli solari di ogni genere, palesi o camuffati (stelle a cinque punte, seicentosessantasei, “rose-eros” di vari colori, piramidi tronche, etc), sono diventati familiari e non destano alcun allarme o sospetto. Nonostante essi rappresentino in varie forme il “marchio apocalittico”, la fatidica cifra, il segno della penetrazione dell’anticristianesimo in ogni settore della società.
La lotta al Cristianesimo, ai suoi simboli, ai suoi seguaci, la manipolazione della sua stessa dottrina intrapresa a partire dalla rivoluzione eliocentrica sta diventando sempre più insidiosa. Siamo pertanto alle fasi finali del contro-esodo iniziato in epoca rinascimentale. L’umanità (manipolata mediaticamente attraverso una sorta di un continuo lavaggio del cervello) sta inconsapevolmente ritornando in una sorta di Egitto spirituale, soggiogato dallo spirito di questo mondo, in un percorso a ritroso del tutto invisibile ai più.
Le politiche attuate dai potenti della terra sembrano essere ordinate in vista della formazione dell’apocalittica Babilonia, la grande meretrice madre tutti i vizi, «la città grande che regna su tutti i re della terra» (Ap. 17, 18). In questa città solare, di estensione mondiale, prigioni, muraglie, grate, catene invisibili sono erette per ciascuno di noi. E ciascuno di noi, più o meno consapevolmente, è sempre più costretto in esse attraverso il giogo del peccato, non più osteggiato, ma tollerato e perfino esaltato, che risucchia quelle energie fornite dalla Grazia in grado di contrastarlo.
Tuttavia, la Vergine che, il 13 ottobre 1917, nella Cova de Iria, umiliò il sole tanto esaltato dagli esoteristi, facendolo rimbalzare nel cielo come una innocua palla, ci ha indicato la via di salvezza sempre più attuale, in questo tempo più che mai insidioso. Preghiera, penitenza, consacrazione al Cuore Immacolato di Maria, le armi indicate per fermare la corsa del mondo verso il nulla. Per ricondurre gli uomini a quel Dio che è Via da seguire, Verità da accogliere, Vita da incarnare.