giovedì 8 dicembre 2011

COSMO ANGELICO





San Paolo innalzato misteriosamente fino al “terzo cielo” ebbe modo di contemplare gli aspetti più insondabili della realtà divina. Egli conobbe in via del tutto eccezionale i sacri arcani custoditi dagli angeli e le rispettive gerarchie celesti che regolano e governano i cieli e la terra, i Principati, le Potestà, le Virtù (1 Cor 15, 24) ed i Troni (Col 1, 16), poste sotto il trono dell’Altissimo.
L’Apostolo delle genti alluse in terza persona a questa sua particolare esperienza, probabilmente vissuta tra la conversione sulla via di Damasco e l’arrivo a Corinto, nella lettera ai fedeli della capitale dell’Attalia: <<Conosco un uomo in Cristo che, quattordici anni fa … fu rapito fino al terzo cielo … Questo uomo fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare>> (2 Cor 12, 2).
L’intensità di tale rivelazione sui “cieli aperti” dovette per forza di cose provocare in Paolo un ulteriore accentramento di tutto il suo essere in Dio, dopo quello già avvenuto sulla via di Damasco. Egli infatti vide svelarsi in modo incomprensibile il mistero di tutta la realtà centrata in Dio, come intorno ad un Centro universale ed unico, dal quale e nel quale trova origine e fine ogni cosa. L’esperienza fu così grandiosa e straordinaria che il Signore gli assegnò subito un’afflizione: <<una spina nella carne, un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi perché io non vada in superbia>> (2 Cor 12, 7).
L’eco del misterioso evento descritto nella Seconda Lettera ai Corinti risuona anche nell’inno cristocentrico inviato ai santi della città di Efeso, nel quale l’Apostolo delle genti afferma il telos o fine divino <<di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra>> (Ef 1, 10). Cristo infatti è stato posto da Dio alla sua destra nel vertice dei cieli, al di sopra degli angeli: <<di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione>> (ivi 1, 20-22).
Quando Paolo celebra la gloria del Cristo Pantocrator che riempie l’intero universo, sembra voler anche indicare il passaggio da una concezione antropocentrica della realtà a quella soprannaturale cristocentrica. Come se in proporzione alla fede in Cristo (la Scrittura cresce con il suo lettore, diceva san Gregorio Magno), corrispondesse una precisa visione anche del mondo fisico. Del resto: <<Noi tutti a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore>> (2 Cor 3, 18).
In Cristo, che si è definito Via, Verità e Vita, l’alfa e l’omega di tutto, si risolve ogni dinamica universale, il telos di ogni movimento, inteso in senso lato. Come attorno ad un Centro universale assoluto, Vertice supremo trascendente, tutta la creazione pulsa e gravita intorno alla divinità di Cristo in una sorta di moto centripeto e centrifugo, un exitus ed un reditus non solo spirituale. È il Verbo infatti che imprime al tutto come “causa efficiente” la virtù di muoversi ed evolvere, attuando le fasi e gli eventi che consentono l’evoluzione della vita biologica e spirituale, fino alla determinazione del passaggio dalle prospettive antropocentriche a quelle teocentriche.
Non è che l’Apostolo delle genti abbia voluto definire una forma geometrica del cosmo, ponendo Cristo al vertice della creazione in relazione agli angeli, come in un luogo trascendente, seduto in modo simbolico alla destra di Dio, nel senso esclusivo di causa efficiente e finale del tutto. Tuttavia i suoi inni cristocentrici sembrano alludere ad un’immagine metafisica del cosmo, intesa come riflesso della dimensione teologica nella realtà sensibile.
Per mettere a fuoco quella che sembra essere l’immagine del cosmo paolino, occorre innanzitutto predisporre un capovolgimento radicale del comune modo di concepire la dimensione naturale in senso scientifico ed antropologico. Ora infatti <<la nostra conoscenza è imperfetta … vediamo come in uno specchio, in maniera confusa>> (1 Cor 13 9, 12). Sappiamo peraltro che la sapienza umana è condannata da Dio (Is 29, 14) che <<ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti … perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio>> (1 Cor 1, 27).
La cosmologia che pone il principio primo dell’esistenza e della conoscenza in Cristo richiede pertanto un superamento della visione scientifica della realtà, per giungere ad un’immagine della stessa pienamente cristocentrica. Del resto, siamo spronati dall’Apostolo a non conformarci <<alla mentalità di questo secolo>>, in gran parte determinata dall’autorità della scienza dell’immanente, ma a trasformarci rinnovando la nostra mente <<per poter discernere la volontà di Dio>> (Rm 12, 1-2). Ossia, il sottomettere il tutto a suo Figlio unigenito, <<come sgabello dei suoi piedi>> (Salmo 110, 1).
Questa affermazione rappresenta senz’altro un modo di dire. Tuttavia, indica anche che i piedi del Signore poggiano, in senso metaforico, in ogni punto all’interno del suolo terrestre, ovviamente sferico. La “sfera universale” avente come “centro” l’Essere sussistente (Esse ipsum) del quale partecipa tutta la realtà, rappresenta l’immagine teologica che più rispecchia l’ordine cosmologico, alla luce della cristologia paolina.
L’immagine assume un ulteriore significato metafisico, considerando il globo universale dal punto di vista endosferico e non esosferico. Intendendo per così dire “il tutto” come interno alla Terra e non esterno. Come invece è stata considerata la realtà celeste dalle cosmologie che si sono succedute nel corso dei secoli. Compresa quella aristotelico-tomista che poneva la terra al centro del mondo e Dio nella sfera esterna dell’empireo.
La cosmologia cristocentrica paolina ribalta questo dato iniziale della conoscenza, ponendo invece Cristo Via, Verità e Vita nel luogo nevralgico della sfera universale, ove si manifesta la sua Gloria. La terra in questo senso può intendersi come il bordo esterno della creazione, lo sferoide che contiene al suo interno il tutto, come limite della realtà non accessibile alle sfere infere escluse dal Regno dei cieli ed aperte nell’indefinito esterno.
La Terra come Tempio universale nel cui interno staziona come in un tabernacolo la Gloria di Dio, è un’immagine cosmologica che capovolge il tradizionale modo di intendere la realtà celeste e terrestre. Siamo infatti soliti interpretare il tutto “umanamente”, come esterno alla terra. Appare dunque un’assurdità considerare il cosmo come l’interno di un uovo il cui guscio è rappresentato dal suolo terrestre. Si è convinti che l’universo sia infinito, isotropo, omogeneo, che le distanze fra stelle e galassie siano enormi ed esprimibili in “anni luce”, come se un “anno luce” fosse una distanza reale come il metro. La scienza ha imprigionato la nostra mente all’interno delle sue conclusioni.
San Paolo alla luce della sapienza divina allude invece ad una struttura gerarchica e finita dello spazio fisico. Egli attraversò tre cieli. E tre cieli corrispondono alla terna dei cori angelici, a loro volta strutturati in tre sottocori, indagati da san Tommaso d’Aquino alla luce dell’opera di Dionigi l’Areopagita, De Caelesti hyerarchia, sul ruolo delle gerarchie angeliche nell’ambito universale.
D’altra parte, San Tommaso pone l’esistenza delle creature angeliche come un fattore indispensabile per giungere alla conoscenza della realtà, perché se l’universo deve rappresentare Dio, allora <<è necessario che nella scala degli esseri ve ne siano di puramente intellettuali, quindi incorporei e perciò anche senza materia, perché l’intendere è operazione del tutto immateriale>> (Somma T., I, q. 50, 1-2).
Gli angeli pertanto sono in gradi di trasmettere agli uomini visioni simboliche o illuminazioni dirette, poiché in genere gli esseri dei gradi inferiori vengono ricondotti a Dio per mezzo degli esseri dei gradi superiori. Questo perché <<gli esseri più alti del genere inferiore appaiono vicini al genere superiore e viceversa>> (Cont. Gent. III) secondo i principi della gerarchia celeste.
In questo senso, gli angeli partecipano agli uomini immagini adeguate alle loro qualità. Come quando nella “notte santa” si aprirono i cieli ed essi apparendo ai pastori proclamarono il Gloria in excelsis Deo. O come quando san Paolo, <<con il corpo o senza corpo, lo sa Dio>> (2 Cor 12, 3), venne innalzato fino al vertice della creazione. In quello che costituisce il Centro ontologico della realtà universale, ove risiede la Gloria inaccessibile di Dio, fonte eterna di pace per gli uomini di buona volontà.