sabato 2 aprile 2011

EINSTEIN E LO ZEN

 

Hiang Yen, rinunciando agli sforzi intellettuali necessari per studiare e comprendere la dottrina buddista, volle semplicemente applicarla, vivendo come un semplice monaco, senza intellettualismi. Lasciò dunque il suo maestro e i vecchi libri, per ritirarsi in solitudine. Un giorno, mentre sarchiava il terreno per seminarvi i fagioli, incidentalmente con la zappa fece partire un sasso, che andò a sbattere contro un tronco di bambù, facendo toc. Quel suono, il toc, produsse in lui l’illuminazione1.
A proposito di una situazione completamente diversa, ma per certi versi analoga, Einstein ebbe a dire: <<Ero seduto nell’Ufficio brevetti a Berna, quando all’improvviso mi ritrovai a pensare: se una persona cade liberamente, non avverte il proprio peso. Sobbalzai. Questo pensiero semplice mi colpì profondamente e mi spinse verso una teoria della gravitazione>>2.
Per quanto diversi, questi due episodi presentano delle analogie. Essi infatti sono collegati ad un analogo processo di illuminazione interiore, improvviso e istantaneo, scaturito non da un evento oggettivo davvero significativo, o da un ragionamento strutturato. Bensì, da un’intuizione repentina, legata ad una condizione psicologica contingente, comunque non derivata da processi logici ordinari. Infatti, è sotto tali presupposti che la mente individuale sarebbe in grado di cogliere, immediatamente, in modo diretto e senza intermediari, aspetti della cosiddetta Mente universale.
Questa possibilità è dichiarata in particolare dal buddismo zen. Dottrina che, fra l’altro, considera la mente umana alla stregua di uno specchio. Anche se, considerare la mente dell’uomo al pari di uno specchio, significa renderla ambigua. Infatti, <<lo specchio nella realtà è formato da due superfici. Una trasparente e chiara e l’altra oscura e ruvida. Dunque la mente dell’illuminato o di chi conosce se stesso deve essere stata compenetrata dalle tenebre. Dice niente la definizione della verità come un venir fuori della luce dalle tenebre?>>3.
Nulla sappiamo del seguito della scanzonata storia di Hiang Yen, se la sua presunta “illuminazione” (non legata a Dio) si auto-mantenne prodigiosamente in perpetuo, o se si offuscò nel tempo come tutte le umane illusioni. Sappiamo invece che la curiosa intuizione che illuminò la mente di Einstein, venne in seguito sviluppata dallo stesso scienziato fino a costituire l’essenza stessa dell’edificio relativistico, alla cui base è posto il cosiddetto “secondo principio di relatività”.
In tale asserto, invece dell’uomo in “caduta libera”, troviamo un raggio di luce che si propaga nel vuoto, a velocità costante, a prescindere dallo stato dinamico della sorgente, violando dunque l’ordinaria legge della somma delle velocità4.
Di tale principio “primo” non esiste una dimostrazione logica, né tanto meno un effettivo legame induttivo con la realtà. Niente di niente ci aiuta a comprendere la natura di tale assunto, al di fuori, forse, della insolita esperienza mentale ricordata da Einstein. La quale, pur se ben fondata nella sua coscienza, in realtà sembrerebbe non corrispondere non solo a canoni propriamente scientifici. Ma neanche a quanto effettivamente proverebbe un comune mortale, precipitando nel vuoto, verso un impatto inevitabile e disastroso. Davvero in questa sinistra circostanza, una persona normale avrebbe la percezione di leggerezza immaginata da Einstein, invece di altre, forse meno geniali, sensazioni?

Caduta libera e iniziazione
Lo strano pensiero che illuminò la mente analitica di Einstein possiede a ben vedere anche riferimenti per così dire di natura iniziatica, ai quali accenniamo rapidamente. Ricordiamo che i pitagorici non erano solamente matematikoi ed epoptai (veggenti), ma anche, e soprattutto, esoterikoi5. Einstein sembra rientrare in queste tre categorie, dal momento che fu certamente matematico; fu veggente, in quanto propose una visione della realtà fuori dal comune. Ed in un certo senso fu anche esoterico6, dal momento che: <<per molto tempo la teoria della relatività è stata considerata incomprensibile, fatta eccezione per il suo autore e per alcuni “eletti”>>7. D’altra parte, l’ex Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, Armando Corona, deve essere stato a conoscenza di documenti riservati per attestare l’appartenenza alla massoneria di Albert Einstein8.
In tale prospettiva, il flash del poveraccio in caduta libera, che schiarì la mente di Einstein, può anche essere inteso come il passaggio da una visione comune della realtà, la fisica classica, ad un’altra “superiore”: la visione relativistica. Passaggio ottenuto attraverso un’esperienza (immaginata) di caduta e di risalita della mente, verso la luce di una presunta verità scientifica9.
D’altra parte, l’iniziazione è proprio un andare oltre la comune visione delle cose, per accedere ad uno stato superiore di conoscenza, specifico dei cosiddetti iniziati. Per giungere a tal fine, le scuole misteriosofiche sottopongono gli adepti a prove rituali nelle quali si sperimenta la sensazione psicologica di morte, o di caduta dell’anima10. La nota immagine della caverna di Platone: <<diviene quindi nella simbologia il simbolo dell’Ascesi verso la luce, verso le conoscenza dell’Intelligibile, l’abbandono graduale delle Tenebre e della Fallacità delle Ombre>>11.

Fumi orientali
Il parallelo fra l’esperienza ideale di Einstein e l’illuminazione provata dal monaco buddista, mette in evidenza la consonanza ideologica di fondo, fra la distaccata visione buddista del mondo e la filosofia einsteiniana. Per molti versi infatti: <<la fisica moderna ci conduce sempre più vicino alla visione della realtà che è propria delle antiche filosofie asiatiche>>12.
Da un punto di vista generale, si può addirittura ritenere che: <<la fisica moderna ci porta ad una concezione del mondo che è molto simile a quella dei mistici di tutti i tempi e di tutte le tradizioni>>13. Ovviamente, esclusa quella cattolica, sempre molto legata alla dimensione oggettiva e concreta della realtà.
Peraltro, la propensione mistica insita nell’ambito della fisica moderna può anche essere intesa come il compimento di un ritorno alle origini stesse della filosofia naturalistica. Infatti: <<nei suoi stadi più recenti, la scienza occidentale sta finalmente ritornando nuovamente alle concezioni dei Greci più antichi e delle filosofie orientali>>14.
Come nelle filosofie orientali, lo spirito che anima la fisica moderna spesso tende a concepire tutti gli oggetti come parti inseparabili dell’unità cosmica. Proprio come se tutto l’universo fosse costituito nella sua essenza segreta da un oceano infinito ed impalpabile, ma interconnesso – nonostante l’apparente tensione eraclitea degli opposti –, che costituisce appunto l’unità dell’Uno.
A questo proposito notiamo ancora che: <<la fisica moderna è in qualche modo assai vicina alle dottrine di Eraclito. Se sostituiamo la parola <<fuoco>> con la parola <<energia>> possiamo quasi ripetere le sue affermazioni parola per parola dal nostro moderno punto di vista>>15.
E. Schrödinger sembra confermare il punto di vista dell’unità del tutto, quando dichiara che: <<Il mio corpo partecipa a non pochi dei più interessanti cambiamenti (movimenti, ecc.) cha avvengono in questo mondo materiale, e vi partecipa in modo che mi sento io stesso in parte l’autore di tutto ciò>>16, ed altrove: <<Soggetto ed oggetto sono una cosa sola. Non si può dire che la barriera fra di loro sia crollata in conseguenza delle recenti esperienze delle scienze fisiche, perché tale barriera non esiste>>17.
Gli induisti chiamano tale unità Brahman, i taoisti Tao, i buddisti Dharmakàya. Einstein forse l’avrebbe definita rigorosamente come Unità dei Campi18, confermando così in modo autorevole l’idea che: <<la fondamentale unicità dell’universo non è solo la caratteristica principale dell’esperienza mistica, ma è anche una delle importanti rivelazioni della fisica moderna>>19.
Di certo, si evidenzia una sorta di paradosso nell’odierna assonanza fra fisica e misticismo orientale. È noto infatti che le filosofie orientali, pur nelle loro diversità specifiche, concordano nel considerare erronea ed illusoria la realtà sensibile, rispetto a quella rappresentata dalla propria coscienza. <<Io insegno che gli innumerevoli oggetti non hanno realtà in sé, ma sono soltanto visti dalla mente e pertanto sono della natura dell’illusione (maya) e del sogno>>, afferma Buddha.
Einstein sembra porsi sulla stessa linea interpretativa, quando asserisce che i concetti e le relazioni che abbiamo degli oggetti: <<ci appaiono più forti e più inalterabili della singola esperienza sensoriale in sé, il cui carattere di essere qualunque cosa oltre al risultato di un’illusione o allucinazione non è mai completamente garantito>>20. In sostanza, sembra dire lo scienziato ebreo, l’idea che abbiamo degli oggetti possiede un’attendibilità maggiore della conoscenza che ricaviamo su di essi mediante l’esperienza dei sensi.
Questa propensione a mettere fra parentesi la realtà degli enti, non può che negare l’apertura della stessa ragione verso quella Verità trascendente che, tuttavia, non può e non deve essere confusa con una pura proiezione dell’io pensante, o con presunte verità scientifiche, in realtà molto simili ai classici Koan zen.
Tale infatti si mostra la seguente affermazione di J. R. Oppenheimer: <<Se ci chiediamo, per esempio, se la posizione dell’elettrone rimanga la stessa, dobbiamo rispondere “no”; se ci chiediamo se la posizione dell’elettrone cambi col tempo, dobbiamo rispondere “no”; se ci chiediamo se l’elettrone sia in quiete, dobbiamo rispondere “no”; se ci chiediamo se sia in movimento, dobbiamo rispondere “no”>>21.
D’altronde, afferma Heisemberg che: <<Le particelle elementari del <<Timeo>> di Platone non sono, in fondo, sostanza ma forma matematiche (…) Anche nella moderna teoria dei quanta si troverà senza dubbio che le particelle elementari sono in definitiva delle forme matematiche>>22. Ecco dunque riaffermata la tendenza gnostica del porre il pensiero a fondamento dell’essere, oscurando così il valore proprio della realtà, nella quale invece, come afferma San Paolo, <<le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate con l’intelletto>>23.

La negazione della realtà
L’ouroburos, il serpente che si mangia la coda, simbolo iniziatico non solo della eterna ciclicità del tempo e della materia, ma anche di qualunque circolo vizioso che sfocia nelle tipiche concezioni che non hanno basi all’infuori del proprio sé illusorio, sembra ripresentarsi dunque in un ambito del tutto insolito: quello della fisica moderna.
Difatti, le affermazioni che abbiamo in precedenza rilevato mettono in dubbio non solo la realtà stessa degli oggetti, ma anche quella dell’esperienza sensibile che noi abbiamo su di essi. Tuttavia, se questa opinione, di per sé legittima nell’ambito di una visione mistica del mondo, viene collegata seppure vagamente all’epistemologia propria di una scienza induttiva, fondata su definiti protocolli sperimentali, allora si giunge davvero nel cuore della contraddizione.
Ricordiamo solo di passaggio le polemiche galileiane contro la metafisica aristotelico-tomista, accusata di non essere fondata sui fatti sperimentali, e dunque sulla concretezza, ma sulla indimostrabilità di idee metafisiche, dedotte a priori per via logica, sulla base di principi primi generali. Polemiche infondate, dal momento che proprio: <<La metafisica aveva scoperto le linee intime, costitutive di questa realtà: i principi di non contraddizione, di causalità, di finalità erano riusciti a penetrare la essenza del reale: l’edificio che essi avevano costruito culminava in Dio; e in Dio culminava la struttura e l’azione della persona umana>>24.
La rivoluzione copernicana prospettata da Kant per conseguire la conoscenza, ovvero l’indicazione di partire non dagli oggetti stessi, ma dal nostro sapere a priori su di essi, sembra dunque trarre al giorno d’oggi le sue più estreme conseguenze, dal momento che la stessa realtà indagata dalla scienza viene peraltro rapportata all’illusione.
Quasi intuendo questa tendenza idealistica interna alla scienza moderna, il matematico Gauss, in una lettera all’amico ungherese Bollai, a proposito dell’impossibilità di decidere a priori fra sistema euclideo e sistema non euclideo, rilevava: <<la prova più chiara che Kant ebbe torto ad affermare che lo spazio sia solo forma della nostra intuizione>>25.
A proposito di Kant, sostiene il benedettino S. Yaki che la vera forza della strategia di tale autore: <<sta nella sua affermazione che per rendere impossibile il passaggio dall’universo a Dio occorreva negare l’accesso all’universo stesso, dichiarandolo una nozione non degna dell’intelletto>>26.
D’altra parte, anche Einstein, come ispirandosi a tale filosofo, molto amato nella sua giovinezza, utilizzò nella sua indagine scientifica strutture del tutto immaginarie, come ad esempio lo spazio quadridimensionale, cronotopo, o Welt di Minkowski.
Questo ente razionale, <<non suggerito affatto dall’esperienza>>27 – ma da un flash improvviso, simile al toc che illuminò la mente di Hiang Yen –, possiede un significato effettivo solo nella dimensione astratta della geometria formale. Infatti, l’ente di ragione è un non-ente che si concepisce a modo di ente, e si dà soltanto nell’intelletto28.
Un commento sarcastico riguardo al carattere soggettivo della concezione einsteiniana, è stato rilasciato dallo scienziato J. J.Thomson, che annotò nelle sue memorie: <<Abbiamo lo spazio di Einstein, lo spazio di de Sitter, universi che si espandono, universi che si contraggono, universi che vibrano, universi misteriosi (…) Il fatto è che un matematico puro può creare universi a volontà, scrivendo un’equazione su un foglio di carta, e se per caso è un individualista si può anche costruire un universo tutto per sé>>.29
Un grave problema sorge, tuttavia, quando le strutture e le leggi matematiche, che costituiscono tale universo razionalmente immaginato, finiscono addirittura per prevalere sugli enti che partecipano alla realtà del Cosmo osservabile, creato con ineguagliabile Sapienza: <<effluvio genuino della Gloria dell’Onnipotente>>.30

1 Confronta T. N. Hanh, Introduzione allo zen, Sonzogno, Milano 1974, pagine 35-6.
2 A. Einstein, Pensieri di un uomo curioso, Mondadori, Milano 1997, pagina 126.
3 M. Caleo, Il mondo nello specchio del Timeo, Carocci editore, Roma 2006, pagine 10 e 11.
4 <<Ogni raggio di luce si muove nel sistema di coordinate in “quiete” con la determinata velocità c, indipendente dal fatto che quel raggio di luce sia emesso da un corpo in quiete, o da un corpo in movimento>>. Confronta A. Einstein, Sull’elettrodinamica dei corpi in moto, in Cinquant’anni di relatività, Editrice Universitaria, Firenze 1955, pagina 482.
5 Confronta, G. Arcidiacono, Relatività ed Esistenza, Edizioni Studium Christi, Roma 1981, <<Introduzione dell’Editore>>, pagina 9.
6 Nella pagina web, Massoni celebri, http://space.tin.it/lettura/kbtbarto/massoni.htm, il nome di Albert Einstein primeggia tra i massoni premi Nobel per la Fisica, insieme ad A. A. Michelson, e ad Enrico Fermi.
7 F. Balibar, Einstein – La gioia del pensiero, Electa/Gallimard, 1994, pagina 104. Al giorno d’oggi, tutti, sottoscritto escluso, sembrano avere superato le difficoltà concettuali legate alla teoria di Einstein. Idee non comuni come la presunta curvatura non solo dello spazio, ma anche del tempo, le particolari proprietà attribuite alla velocità della luce, la non compresenza temporale delle stelle da noi percepite nella contemplazione notturna, ecc., sono state benignamente accettate dall’opinione pubblica, e fanno dunque parte del nostro bagaglio culturale.
8 A. Corona, Dal bisturi alla squadra, Bompiani, Milano 1987, pagina 101.
9 Afferma Einstein che: <<È difficile attribuire un significato preciso al termine “verità scientifica”. Lo stesso significato della parola “verità” muta a seconda che lo si riferisca a fatti dell’esperienza, a una formula matematica o a una teoria scientifica. Niente affatto chiaro è per me il termine “verità religiosa”>>, in A. Bertin, Einstein, la vita il pensiero i testi esemplari, Accademia Sansoni Editore, Milano 1971, pagina 259.
10 Classica è l’esperienza di morte alla quale erano sottoposti i cultori di Osiride: la notte trascorsa nel sarcofago, prima di giungere alla visione di una presunta nuova luce. Ne riporta una descrizione alquanto dettagliata E. Schuré nel suo famoso testo, I grandi iniziati, Laterza, Bari 1981, pagine 132-146.
11 E. Bonvicini, Esoterismo nella massoneria antica, Atanòr, Roma 1993, pagina 264.
12 T. J. McFarlane, Einstein e Buddha – Pensieri paralleli, Armenia, Milano 2002, pagine 22-23.
13 F. Capra, Il Tao della fisica, Adelphi, Milano 1975, pagina 19.
14 Ibidem, pagina 20.
15 W. Heisemberg, Fisica e filosofia, il Saggiatore, Milano 1982, pagine 79-80.
16 E. Schrödinger, L’immagine del mondo, Boringhieri, Torino 1963, pagina 141.
17 In T. J. McFarlane, citato, pagina 110.
18 Einstein, specialmente negli ultimi anni di vita: <<ambisce a formulare una teoria generale, una teoria unitaria che descriva in un unico sistema di equazioni le proprietà della luce, della materia e della gravitazione… con infinita pazienza, senza lasciarsi abbattere dai fallimenti, ma anche senza nutrire eccessive illusioni, Einstein lavora per ben vent’anni all’elaborazione di una teoria unitaria>>, F. Balibar, citato, pagina 96.
19 F. Capra, citato, pagina 149.
20 In T. J. McFarlane, citato, pagine 131-132.
21 Ibidem, pagina 87.
22 W. Heisemberg, Fisica e filosofia, citato, pagina 89.
23 Romani 1, 20. Confronta anche San Tommaso, Somma teologica, I, 2,3.
24 G. La Pira, La crisi della spiritualità, in <<Il Corriere dell’Isola>>, 13 luglio 1948. pagina 3.
25 P. Magni, in G. Arcidiacono, citato, pagina 36.
26 Yaki S. L., Dio e i cosmologi, LEV, Città del Vaticano 1991, pagina 29.
27 L. Fantappiè, Relatività e concetto di esistenza, in G. Arcidiacono, citato, pagina 168.
28 Confronta, D. Lorenz, I fondamenti dell’ontologia tomista – Il trattato “De ente et essentia”, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1992, pagine 113-128.
29 Citato in R. W.Clark, Einstein, Milano, Rizzoli, 1976, pagina 258.
30 Sapienza, 7, 25.